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martedì 3 agosto 2010

L'Antimafia come cultura

Fonte: Mediterraneonline.IT  - 17 luglio 2010


Tra pochi giorni (19 luglio 2010) ricorrerà il diciottesimo anniversario della strage di via d’Amelio, nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.




Sono già in programma manifestazioni e fiaccolate per ricordare e far rivivere il sacrificio di uomini caduti per la causa della Giustizia e per amore dello Stato.


L’Italia è un Paese nel quale gli eroi trovano sempre un posto privilegiato nel cuore della gente. Soprattutto quegli eroi del quotidiano, così simili alle persone normali eppure così speciali, unici. Il problema adesso non sta solo nel commemorare l’eroismo di un magistrato antimafia, quanto quello di trasmetterne l’esempio. Ma non a parole! Con i gesti, le azioni che, proprio come questi eroi, si materializzano nel quotidiano, non nei libri e nei romanzi. E’ necessario dunque che nasca una cultura antimafiosa o, se preferite, che la lotta alla mafia assuma connotati culturali.


Quando pensiamo alla cultura ci vengono in mente professori ed intellettuali che dissertano delle grandi civiltà passate, di filosofia, di costumi che paiono sopravvivere nei volumi universitari e la cui conoscenza è riservata ai pochi interessati, agli addetti ai lavori. La questione reale è che la cultura va costruita, va espressa, va diffusa, va avvicinata alla popolazione, perché il sapere possa trasformarsi in patrimonio collettivo e non si riduca a prerogativa di pochi.


La cultura della lotta alla criminalità organizzata deve seguire lo stesso iter Non è più tollerabile avere solo una generica idea di ciò che la Mafia sia (La Mafia: il Padrino, sta in Sicilia, odia lo Stato), anzi! Necessario è approfondirne la storia, il radicamento sul territorio, al fine di porre tematiche da analizzare come in ambito scientifico. Studiare il fenomeno, in sostanza, capire come l’organizzazione sia riuscita, nel corso di più di un secolo, ad inserirsi nel tessuto sociale prima siculo, poi italiano, quali ne siano i punti di forza, quali le debolezze.


Una ricerca vera e propria, quasi di carattere accademico, che possa suscitare nello studioso come nel suo interlocutore un sano e giusto interesse. Ed è qui che comprendiamo la forza di una cultura antimafia: il condividere informazioni, l’educare, il diffondere. Due uomini molto diversi tra loro, per età come per idee politiche, Beppe Alfano e Peppino Impastato, si accorsero sin dal principio della propria lotta di quanto rilevante fosse l’opera di un giornale o di una radio: lessico scorrevole, ampia diffusione tra tutti gli strati della popolazione, possibilità di conoscere ciò che accade nelle realtà locali, senza dover passare per i grandi network o per le tribune politiche.






Torti, soprusi, ingiustizie avvengono ogni giorno, non sempre a colpi di Kalashnikov e di bombe a mano, quanto secondo una strategia rodata, funzionale, meno rumorosa, che è quella della distruzione personale, morale, umana della vittima. Vittime di Mafia dimenticate, che non hanno voce, che non hanno perso un congiunto in un agguato ma che si ritrovano isolate poiché private del frutto del loro lavoro, della dignità, di qualsiasi aiuto. Persone oneste costrette a vivere come reietti, accusate di disonestà che non hanno commesso solo per non avere chinato la testa di fronte ad un potentato cittadino, ad un imprenditore corrotto, o per aver denunciato infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione e nel privato. Un dovere civico che hanno pagato col massimo della pena.


E’ il caso, ad esempio, della Ittica Mediterranea srl, società di ittiocoltura di Petrosino (TP), fallita alcuni anni fa e che verrà venduta all’asta lunedì 12 luglio 2010. Una storia che si ripete, con una famiglia che non ne vuole sapere di chinare il capo e che da un giorno all’altro vede sfumare anni di duro lavoro e di sacrifici.






Quella della Ittica Mediterranea srl è una tragedia tutta italiana, anzi siciliana. Non vi sono morti da commemorare una volta l’anno con torce e striscioni, non ci sono bombe o stragi di poliziotti che colpiscano l’attenzione dell’opinione pubblica. C’è il silenzio di chi non sa o di chi non vuole sapere. Oppure c’è l’ostinazione a non volere capire che il tempo delle grandi ‘mattanze’ è finito e che gli eredi dei corleonesi hanno trovato altri sistemi per dominare l’isola. Una amara conclusione per noi, ma soprattutto per i figli dei coraggiosi uomini comuni che sono morti per servire la Giustizia. Non si è imparato nulla. Restano solo date da ricordare con manifestazioni, non una coscienza vera del popolo italiano. Sosteneva Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. E’ importante sedimentare nella propria testa che un fenomeno va studiato per essere compreso. Perché la Mafia abbia un giorno termine, l’unica cosa possibile è rafforzare il sapere. Come nel XVIII secolo l’Illuminismo squarciò il velo dell’ignoranza, (valido strumento per tenere soggiogati i ceti più umili), parlando di ‘ragione’, è significativo, oggi, abbattere quel muro di disinteresse, disillusione e omertà che tiene in vita e fa prosperare i padrini e le loro attività illecite. Un muro duro, spesso, come le pareti dei rifugi – bunker. I muri sono solidi, ma non invulnerabili alla pressione del tempo e degli uomini.


Crollò quello di Berlino, che pareva indistruttibile. E’ scritto, crollerà anche quello della paura e del silenzio.



di Marco Petrelli




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