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martedì 14 settembre 2010

Articolo tratto dal sito http://www.avanti.it/  

Nord


Una pagina della nostra storia
di Marco Petrelli


Negli ultimi anni molto si è scritto, ma soprattutto dibattuto, su quel periodo che va dal 1943 al 1945 e che vide gli italiani affrontarsi su schieramenti opposti. Il quadro generale della guerra civile rappresenta fascisti ed antifascisti in un sanguinoso confronto, sullo sfondo delle vicende belliche del Secondo conflitto mondiale; la relativa storiografia pone l’accento sullo scontro ideologico, sui crimini commessi da ambo le parti, sull’apporto, più o meno considerevole, dato da fascisti e partigiani ai propri alleati.Manca un tassello a questa drammatica vicenda, tassello di non poco conto. Durante tutti e seicento i giorni dall’8 settembre ’43 al 25 aprile ’45 la monarchia sabauda, Badoglio e le sfere militari riparatesi presso gli americani avevano riorganizzato una forma di stato, denominato Regno del Sud, con sede a Brindisi. Poco si conosce della reggenza brindisina (settembre ’43-febbraio ’44, successiva capitale Salerno), soprattutto per quanto concerne il contributo che i soldati italiani fedeli al re hanno fornito alla guerra contro i tedeschi.Il volume di Arrigo Petacco e Giancarlo Mazzucca – “La resistenza tricolore. La storia ignorata dei partigiani con le stellette” (Mondadori, 180 pagine, 19 euro) -, di recente pubblicazione, rappresenta un primo, significativo contributo al tentativo di far luce sulla vicenda militare e umana dei “soldati del sud”. Dimenticati dalla storiografia resistenziale, cobelligeranti (mai considerati a pieno titolo alleati di Gran Bretagna e Usa) degli angloamericani, il contributo di sangue di questi italiani fu elevato. Essi tennero fede al proprio giuramento, battendosi con fervore contro i nazisti, arrivando addirittura a liberare, (es. Bologna), alcune città italiane. Proprio come accadrà per quegli internati in Germania che risponderanno all’appello di Mussolini, rinforzando così le divisioni di Graziani, anche gli italiani rinchiusi nei campi britannici e americani si trovano di fronte ad una dura scelta: continuare ad appoggiare il precedente regime, con conseguente allungamento della reclusione, oppure rientrare in Italia per combattere al fianco delle potenze democratiche. Scelta che non può essere valutata sotto un solo profilo: vanno considerate la possibilità di tornare in Italia; il combattere con forze maggiormente organizzate e con maggiori probabilità di vincere la guerra; il concetto di un riscatto ideale di un popolo accusato da più parti di tradimento; il giuramento prestato allo Stato (la monarchia). Queste alcune delle ragioni alla base delle adesioni. Uno tra i più noti e celebri scrittori italiani, Curzio Malaparte, in un capitolo de “La Pelle”, così descrive le nuove truppe italiane: “Quei soldati italiani vestiti di uniformi tolte ai cadaveri inglesi… le loro uniformi erano sparse di nere chiazze di sangue. A un tratto mi accorsi con orrore che quei soldati erano morti. Mandavano un pallido odore di stoffa ammuffita, di cuoio marcio, di carne seccata al sole; […] Il nostro amor proprio di soldati vinti era salvo: ormai combattevamo al fianco degli Alleati, per vincere insieme con loro la loro guerra dopo aver perduto la nostra, ed era perciò naturale che fossimo vestiti con le uniformi dei soldati alleati ammazzati da noi”.Una descrizione dura, feroce, ma nel contempo pietosa quella fornita da Malaparte. Equipaggiamento di fortuna, divisa grigio verde italiana o, come nel caso de “La Pelle”, lacere uniformi inglesi tolte ai caduti. Così comincia l’epopea di questi uomini, epopea per nulla diversa da quella vissuta dai loro ex commilitoni del Nord, soltanto il cui valore permetterà una certa riabilitazione agli occhi degli altri Paesi coinvolti nel conflitto.I primi atti di ostilità verso la Germania avvengono durante le fasi iniziali di mobilitazione tedesca, dopo l’annuncio alla radio del proclama di Badoglio. A Roma come nelle isole greche, ufficiali e soldati obbediscono ad uno degli ultimi ordini ricevuti dallo Stato Maggiore: “[…] risponderanno ad attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Il 9 settembre 1943 a Porta San Paolo, Roma, si consuma una dura battaglia per impedire a formazioni della Wehrmacht di penetrare nella Capitale. Gli invasori riusciranno nel loro intento soltanto dopo aver soffocato la ferma e decisa opposizione di cittadini romani e militari.Nelle isole di Cefalonia e Corfù un’immane tragedia: la Divisione “Acqui” del generale Gandin riceve ordine dal colonnello Barge, comandante la 966esima divisione da Fortezza, di disarmare la “Acqui” . Alla risposta negativa degli italiani la reazione tedesca è terrificante: ai combattimenti (che avranno termine solo il 22 settembre) seguirà un eccidio di proporzioni titaniche, con più di novemila tra soldati e ufficiali trucidati, senza tenere conto delle norme che regolano lo status di prigioniero di guerra, consegnando l’eccidio di Cefalonia alla storia come il più grave crimine di guerra (per citare Simon Wisenthal) compiuto dall’esercito tedesco durante il secondo conflitto. La fedeltà dimostrata da questi uomini al giuramento fatto al re (in Italia, anche dopo il fascismo, la forma di stato era una monarchia costituzionale) spinse gli Alleati a concedere la costituzione del Cil (Corpo italiano di liberazione) nel marzo 1944, che subito si adopera in importanti scontri come quelli che porteranno alla liberazione del porto di Ancona (in realtà preso dai polacchi ma grazie all’intervento decisivo del Cil) e dell’entroterra marchigiano; ancora, sempre nel 1944 reparti italiani entrano per primi a Bologna. Molti i marinai e gli aviatori: marinai sommergibilisti e fanti di marina che si ritrovano al seguito degli inglesi nel sud est asiatico, a dare battaglia ai giapponesi, in unità ideale con quegli internati italiani costretti dai nipponici a lavorare alla stregua di schiavi nella costruzione di vie di comunicazione nel Borneo. Le ultime importanti azioni nel 1945: a pochi giorni dalla liberazione di Genova, commandos del Sud silurano la portaerei “Aquila” (Marina Repubblicana), per paura che i tedeschi potessero usarla per ostruire l’imboccatura del porto cittadino.Malgrado sangue e sudore versati sui campi di battaglia d’Europa e, come abbiamo visto, in estremo oriente, la storiografia resistenziale ha dimenticato tout court i “ragazzi del Sud”. A differenza di formazioni completamente politicizzate come le Garibaldi o le Matteotti, i “partigiani con le stellette” (parafrasando Petacco) sono l’emanazione di un tentativo di rinascita della nazione e del senso di comunità, nonché un tentativo di ricostruire (e rappresentare) uno Stato. Essi non combattono per una ideologia, quanto per il concetto nazionale, quindi per una collettività. A sessantasette anni da quel tragico 1943, il passato più prossimo dell’Italia sembra ancora avvolto in un fitto strato di nebbia. Non si comprende con esattezza il motivo per cui quella fase della nostra storia sia così gelosamente protetta e lasciata fuori dalla portata di qualsiasi analisi o studio. Interessante, peraltro, è capire perché a non destare interesse siano i militari del governo di Brindisi: è inopinabile che essi abbiano abbracciato a pieno la causa della libertà e che abbiano appoggiato la campagna militare di Londra e Washington senza riserve, come d’altro canto indiscutibile la loro avversione al fascismo, anche perché i prigionieri delle tante battaglie contro i tedeschi non ricevettero certo un trattamento di favore.Il volume di Mazzucca e Petacco rende nota al grande pubblico la tragica avventura di questi ragazzi, dopo più di mezzo secolo di incomprensibile silenzio. L’unica speranza è quella di non dover aspettare altri sessant’anni e oltre per sapere il motivo di tanto ostracismo.

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