tag:blogger.com,1999:blog-60778881027175758442024-03-13T17:02:22.801+01:00SFIDASFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.comBlogger597125tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-32338255023117689962010-09-22T21:15:00.001+02:002010-09-22T21:15:14.244+02:00Satira<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://sgummato.altervista.org/megasito/2005/febbraio/locandina_vernacoliere.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" px="true" src="http://sgummato.altervista.org/megasito/2005/febbraio/locandina_vernacoliere.gif" width="223" /></a></div>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-30308842992184583322010-09-22T12:50:00.000+02:002010-09-22T12:50:36.102+02:00Letture<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcUAsfEUit59m_O0CYtszAQJo9yLjh21sFD0hWa8AGe946WFsby9E-5813cWGhjxh6vtc8mzg0E8yg6nq-qnI8085ojlAc-qAW9lxlXPuAmV6yWeplEdXxaM7xr-STd0ODRtDey7vh-Ds/s1600/dann.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" qx="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcUAsfEUit59m_O0CYtszAQJo9yLjh21sFD0hWa8AGe946WFsby9E-5813cWGhjxh6vtc8mzg0E8yg6nq-qnI8085ojlAc-qAW9lxlXPuAmV6yWeplEdXxaM7xr-STd0ODRtDey7vh-Ds/s320/dann.jpg" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><em>In questo saggio si colgono le varie sfumature dell'impresa dannunziana, che vanno dall'irredentismo, all'arditismo, passando per i movimenti culturali e arrivando al suo ultimo atto che è la carta del Carnaro. Assieme a d'Annunzio troviamo altri personaggi che diedero vita a quello che può essere definito un esperimento politico-sociale di dirompente novità. Su tutti Guido Keller, - raffigurato nella bella copertina di Tanino Liberatore a fianco del Comandante-, impavido aviatore, guascone, antesignano dell'antipolitica con il suo lancio del pitale su Montecitorio ben prima della mongolfiera di Grillo. </em></div><div style="text-align: left;"><em></em></div>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-92082272319697749102010-09-22T00:32:00.000+02:002010-09-22T00:32:08.030+02:00Satira - Gianfranco Fini<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM2DJT3IHfuE_IrplNs8-rsjGtK2uvRgulGzvNhRwWeeDyvuZY8Za2ygGPj5gdAUMleqEr9WvMBQNY_Obi6ENielpK8F36cqYqxlWkVlMpODz-08OogD4ac3XmQ1_qUDlXbx-3PkxsFA0/s1600/gianfranco_fini_572285.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" qx="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM2DJT3IHfuE_IrplNs8-rsjGtK2uvRgulGzvNhRwWeeDyvuZY8Za2ygGPj5gdAUMleqEr9WvMBQNY_Obi6ENielpK8F36cqYqxlWkVlMpODz-08OogD4ac3XmQ1_qUDlXbx-3PkxsFA0/s320/gianfranco_fini_572285.jpg" /></a></div><div align="center"><span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><em><u><strong><span style="font-size: large;">CORSI E RICORSI STORICI</span></strong></u></em></span></div>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-49869426916102016612010-09-22T00:29:00.000+02:002010-09-22T00:29:49.122+02:00Dedalo 2006: Shakira la nostra colonna sonora!<div style="text-align: center;"><a href="http://www.youtube.com/watch?v=FLQgjEhH400">http://www.youtube.com/watch?v=FLQgjEhH400</a></div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;"><br />
</div>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-25134495027195300492010-09-22T00:14:00.003+02:002010-09-22T00:19:13.788+02:00Intervista ad un goliarda: il professor Caucci si confessa ad Azione Universitaria<em>Pubblichiamo di seguito un bell'articolo di una militante di Au Firenze. Articolo inerente una tradizione universitaria antica ma ancora, in parte, sentita: la Goliardia.</em><br />
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<strong>Nord</strong><br />
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Il primo giorno del primo anno universitario, alcuni studenti di giurisprudenza vivono un’esperienza esilarante. Nell’aula magna, gremita di ragazzi spaesati, dove si dovrebbe tenere la temuta lezione di diritto privato del prof. Collura, un personaggio apparentemente normale, prende la parola al microfono della cattedra. Dopo circa dieci minuti in cui tutti credono di avere di fronte il prof. Collura e nello stesso tempo si chiedono che cosa stia blaterando, dato che pronuncia frasi senza una logica legata al diritto, il personaggio in questione confessa di essere un goliarda. Spuntano accanto a lui i suoi fratelli goliardi, con la feluca e il mantello, e si prendono beffe delle povere matricole sedute nei banchi che, ancora una volta, anno dopo anno, cascano nella loro goliardata. Alla fine, però, lanciano un messaggio: “Ragazzi, noi siamo dei goliardi e siamo venuti a dirvi che all’università non c’è solo lo studio ma c’è soprattutto il divertimento!”. Del primo giorno del primo anno universitario, questa frase è l’unica che rimane impressa a tutti. Ma questi goliardi, chi sono? Azione Universitaria, nella volontà di far conoscere la propria storia e nella convinzione che dietro ad ogni simbolo, ogni gesto, ogni motto o canzone che la contraddistingue dalle altre rappresentanze studentesche, ci sia una spiegazione legata ad una tradizione, ha deciso di intervistare un goliarda. A partire dai GUF, Gruppi Universitari Fascisti, infatti, e poi in relazione al FUAN, Fronte Universitario di Azione Nazionale, la feluca, cappello goliardico, diventa simbolo delle rappresentanze della destra studentesca. Oggi, invece, le due cose sono distinte e separate. Capiamo il perché dell’uso della feluca, oggi, nel simbolo di Azione Universitaria. Parliamo della goliardia con il Professor Jacopo Caucci, docente di spagnolo alla facoltà di economia e commercio. Il professore si presenta come sempre in giacca e cravatta, molto elegante ma anche disponibile a prendere un caffè con noi, e così ci racconta la sua esperienza da goliarda. <br />
<br />
AU: <em>Professor Caucci, noi la intervistiamo perché sappiamo che lei fa parte della goliardia…</em> <br />
<br />
Prof. <strong>Caucci: Sì, è vero</strong>. <br />
<br />
AU: <em>A che età è entrato a far parte della goliardia? </em><br />
<br />
Prof. Caucci: <strong>A 18 anni</strong>. <br />
<br />
AU: E<em> quali sono le motivazioni per cui un ragazzo diventa un goliarda? (il professore ride) O meglio, goliarda si nasce o si diventa? </em><br />
<br />
Prof. Caucci: <strong>No, goliardi si nasce… perché lo spirito è quello che conta!... e poi si ci diventa perché in goliardia si entra attraverso un’iniziazione che noi chiamiamo “processo”. </strong><br />
<br />
AU: <em>So che il processo è molto pesante per le matricole… </em><br />
<br />
Prof. Caucci: <strong>Sì, per le aspiranti matricole… perché matricole si diventa dopo aver subito un processo. Ovviamente è pesante per quello che è comunque un gioco quindi la persona processata è sicuramente offesa e insultata ma tutto ciò come tentativo di trasgredire e dissacrare, mai per offendere realmente la persona.</strong><br />
<br />
AU: <em>Quindi una persona che non sa stare al gioco, potrebbe prenderla male?</em><br />
<br />
Prof. Caucci: <strong>Sì, ed è successo che molti magari si siano avvicinati a noi e poi non siano entrati ma che siano comunque rimasti nostri amici. La differenza tra una persona che è un amico/conoscente e quello che siamo noi è che noi ci riteniamo “fratelli in goliardia” perché c’è un vincolo che ci lega ed è quello dato proprio dal processo, dai colori, dall’ordine, dall’appartenenza alla città… [...]</strong><br />
<br />
<br />
<em><u>E qui finisce la prima parte di questa bella intervista. A breve la II puntata!</u></em><br />
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<em><strong>Nord</strong></em>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-11503787097686144512010-09-22T00:05:00.000+02:002010-09-22T00:05:37.331+02:00Università, Azione Universitaria (PdL): Commissariare Atenei che boicottano l’inizio delle lezioni, gli studenti non paghino rette<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><br />
<div style="text-align: left;">“Le lezioni sono un diritto, bloccarle è un delitto” è lo slogan con il quale Azione Universitaria ha iniziato la propria battaglia contro chi vuole difendere la poltrona sulla pelle degli studenti e dei ricercatori.</div><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">“Da Macerata, Ferrara, Siena, Roma Sapienza e Tor Vergata parte la controffensiva degli studenti universitari sui quali incombe la minaccia di boicottaggio delle lezioni. Agli studenti che saranno privati del diritto di seguire le lezioni diciamo di non pagare le rette, al Ministro Gelmini chiediamo di intervenire con il Commissariamento nei confronti di quei Rettori che permetteranno il calpestamento del Diritto allo Studio, ai professori che vorranno boicottare esami e lezioni che dovranno vedersela direttamente con gli studenti”. È quanto dichiara Andrea Volpi, nuovo Coordinatore Nazionale di Azione Universitaria.</div><br />
“È inaccettabile – continua Volpi – che una minoranza di baroni possa anche solo pensare di interrompere il regolare svolgimento dell’attività didattica nelle Università italiane. Come il cittadino che paga le tasse ha diritto di ricevere servizi idonei così lo studente che paga le salatissime rette universitarie e l’affitto per un posto letto ha diritto a frequentare le lezioni ed a sostenere gli esami. La violenza messa in atto dagli irriducibili della casta è un atto grave, vergognoso e incivile da combattere per ripristinare la legalità e riaffermare il diritto allo studio: per questo saremo in campo insieme agli studenti, con ogni mezzo, per liberare l’Università dalle zavorre del Paese, ovvero da quei docenti e ricercatori traffichini ed assenteisti che, nella maggior parte dei casi, non sono mai a lezione o a ricevimento, venendo meno ai propri doveri” .<br />
<br />
“I ricercatori sbagliavano ieri a prostituirsi al Barone di turno che li sfruttava per sostituirlo a lezione ed a ricevimento, sbagliano oggi a non comprendere la necessità di una Riforma che li qualifica come figure importanti per lo sviluppo della Ricerca e della Nazione”.<br />
<br />
<strong><em>Andrea Volpi</em></strong><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Coordinatore Nazionale Azione Universitaria</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Fonte: <a href="http://www.ladestra.info/">http://www.ladestra.info/</a> </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><br />
<br />
<div align="center"> </div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-snc4/hs679.snc4/61970_1632946306361_1317760540_1763386_1994722_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" qx="true" src="http://sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-snc4/hs679.snc4/61970_1632946306361_1317760540_1763386_1994722_n.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><em>Lo striscione affisso dai militanti di Azione Universitaria Firenze </em></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><em>al Polo Scienze Sociali di Novoli</em></div>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-60956446053246315352010-09-18T13:17:00.001+02:002010-09-18T13:18:11.527+02:00OMICIDI. NON "MORTI BIANCHE" - di Piero Sansonetti<em>Per chi non lo conoscesse Piero Sansonetti è il direttore degli "Altri", foglio di sinistra duramente contestato dalla sinistra stessa. Ha tradizioni comuniste, quindi non in linea con le nostre ma, nel caso delle morti sul lavoro, inconcepibili in un paese che si attesta a V potenza industriale nel Mondo, possiamo dire di trovarci in accordo con lui.</em><br />
<br />
<em>Nord</em><br />
<em>--------------------------------------------------------------------------------</em><br />
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«Amò quella volta come se fosse l'ultima / Diede un bacio alla sua donna come se fosse l'ultimo / E ad ognuno dei suoi figli come se fosse l'unico / E attraversò la via con il suo passo timido / Salì sulla impalcatura come se fosse macchina / Costruì sul solaio quattro pareti solide / Mattone su mattone in un disegno magico / I suoi occhi imbottiti di cemento e lacrime / Sedette a riposare come se fosse sabato / Mangiò riso e fagioli come se fosse un principe / Bevve e ebbe il singhiozzo come se fosse un naufrago<br />
<br />
Danzò e rise come se ascoltasse musica / E inciampò nel cielo come se fosse ebbro /<br />
<br />
E fluttuò nell'aria come se fosse un passero / E finì per terra come un sacco flaccido / Agonizzò nel mezzo del marciapiede pubblico / Morì contromano intralciando il traffico.»<br />
<br />
<br />
Sono i versi (tradotti) di una canzone, che io trovo bellissima. E' una canzone di Chico Buarque de Hollanda, cantautore brasiliano. In Italia la cantò qualche volta Ornella Vanoni. Chico Buarque e Ornella Vanoni sono stati (e sono) due artisti famosissimi, nei loro paesi e fuori. La canzone della quale vi stiamo parlando è molto, molto meno famosa. E' del 1971, ma non fu mai trasmessa dalle radio ufficiali. Né in Italia né in Brasile. Piaceva poco. E' sempre piaciuta poco, ai governi, la denuncia degli omicidi sul lavoro. Nel 1971 in Brasile c'era il fascismo. Era al potere una giunta militare guidata dal generale Emílio Garrastazu Médici. In Italia invece c'era un governo largamente democratico, guidato da Emilio Colombo, leader tra i più pacifici e liberali della Democrazia Cristiana (oggi, ultranovantenne, vive tranquillo nella sua Lucania e fa il tifo per il partito democratico). Eppure di fronte alle morti sul lavoro non c'era molta differenza tra un regime illiberale e feroce come quello brasiliano e la placida Dc.<br />
<br />
Nel 2010 - quarant'anni dopo quella canzone – le morti sul lavoro sono diminuite, sia in Italia che in Brasile. Ma le cifre che riguardano questa strage sono ancora altissime. L'Inail sostiene che nel 2009 i morti sul lavoro in Italia sono scesi del 3 o 4 per cento sull'anno precedente, attestandosi sulla cifra di 1050. Che in ogni caso vuol dire, in media, quasi tre morti al giorno. Ai morti poi si aggiungono i feriti, una parte dei quali resta invalida ed ha la vita spezzata: sono diverse centinaia di migliaia. Più di mille al giorno. L'Inail è l'ente di stato preposto all'assistenza dei lavoratori che si infortunano o perdono la vita. Molti sindacalisti sostengono che le cifre reali della strage sul lavoro sono molto più drammatiche.<br />
<br />
L'Italia, tra i paesi europei, è ai primi posti nella classifica della mortalità sul lavoro. In media ci sono 2,5 morti ogni 100 mila occupati. A questa statistica sfugge tutto il comparto del lavoro nero, che in Italia è molto più grande rispetto ad altri paesi europei. La media europea dei morti sul lavoro è di 2,1 ogni centomila occupati. Ma i paesi più moderni, come ad esempio la Germania e la Gran Bretagna, hanno una media che oscilla tra l'1,3 e l'1,5. Poco più della metà, rispetto all'Italia.<br />
<br />
Quello che colpisce è la sproporzione tra le cifre e la “percezione?del problema, come si dice nei nuovi linguaggi sociologico-politici. Vediamo come stanno le cose.<br />
<br />
Dovete sapere che ci sono alcuni leader della lotta contro le “morti bianche?, come per esempio Marco Bazzoni (operaio metalmeccanico toscano che ha dedicato la sua vita intera a questa battaglia) i quali chiedono a gran voce ai giornalisti di non usare più il termine "morti bianche". Dicono: "morti bianche" è una espressione che accredita la casualità dell'incidente. E infatti spesso si dice: "incidente sul lavoro". Non è così: la stragrande maggioranza degli incidenti non sono affatto incidentali: sono omicidi. Quantomeno omicidi preterintenzionali. Nel senso che dipendono dalla assenza di misure di sicurezza. E questa assenza è decisa, consapevolmente, dal datore di lavoro, il quale in questo modo risparmia, cioè riduce il costo del lavoro. Dice Bazzoni: «Per piacere, chiamateli omicidi».<br />
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Ecco, appunto, chiamiamoli omicidi, e torniamo all'affare della percezione. Se li equipariamo agli altri omicidi (quelli per mafia, quelli per piccola delinquenza, quelli familiari) scopriamo che gli omicidi sul lavoro sono - come categoria di omicidio – non solo al primissimo posto, ma sono più del doppio di tutti gli altri omicidi. Addirittura – se mettiamo tra parentesi gli omicidi familiari – gli omicidi sul lavoro sono quattro volte la somma di tutti gli altri omicidi messi insieme , cioè quelli sui quali ogni volta giornali, partiti, governi, costruiscono le grandi campagne di opinione pubblica sulla cosiddetta "sicurezza". E per combattere gli omicidi di "mala" si impegnano circa 350 mila persone (tra carabinieri, poliziotti, finanzieri eccetera) e in più si propone l'istituzione di milizie private; mentre per combattere gli omicidi sul lavoro (che sono quattro volte di più) si impegnano circa 900 ispettori del lavoro, i quali per altro sono privi di strumenti, di tecnologie, di automobili, di poteri, eccetera.<br />
<br />
Capite cosa intendo dire quando uso la parola "sproporzione"?<br />
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A cosa è dovuta questa sproporzione? A un fattore semplicissimo: l'interesse del sistema economico e di chi lo domina. Oppure potrei addirittura riassumere tutto con una sola parola: mercato. E' il mercato che impone la riduzione del costo del lavoro, e spesso, per ridurre il costo del lavoro, la via più semplice è ridurre la sicurezza. Il mercato stabilisce che c'è un limite sopportabile di morti sul lavoro, che questo limite, in Italia, è 3 al giorno, ed è giusto che sia un po' sopra il limite tedesco e britannico (che è di 2 al giorno) perché in Germania e Gran Bretagna ci sono altri sistemi per migliorare i profitti. Il regime di libera concorrenza prevede questo equilibrio. Guai a romperlo.<br />
<br />
Come si risolve il problema? C'è un solo modo: chiedendo alla Stato di intervenire. Il futuro di una civiltà come la nostra sarà solido solo se riusciremo a compere questa operazione: fortissima riduzione della presenza dello Stato in ogni settore della vita civile, tranne uno: il lavoro, i rapporti di lavoro, la costruzione del reddito. Si tratta di modificare la ricetta del passato, che era: libertà economica grande, libertà personale piccola. Anzi, di rovesciarla. E' la sola via di salvezza non solo per la nostra civiltà, ma per lo stesso capitalismo.<br />
<br />
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Fonte: <a href="http://www.centrostudinadir.tk/">http://www.centrostudinadir.tk/</a>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-51455052631877092222010-09-14T01:35:00.000+02:002010-09-14T01:35:34.812+02:00Articolo tratto dal sito <a href="http://www.avanti.it/">http://www.avanti.it/</a> <br />
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<em>Nord</em><br />
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<strong>Una pagina della nostra storia</strong><br />
<em>di Marco Petrelli</em><br />
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Negli ultimi anni molto si è scritto, ma soprattutto dibattuto, su quel periodo che va dal 1943 al 1945 e che vide gli italiani affrontarsi su schieramenti opposti. Il quadro generale della guerra civile rappresenta fascisti ed antifascisti in un sanguinoso confronto, sullo sfondo delle vicende belliche del Secondo conflitto mondiale; la relativa storiografia pone l’accento sullo scontro ideologico, sui crimini commessi da ambo le parti, sull’apporto, più o meno considerevole, dato da fascisti e partigiani ai propri alleati.Manca un tassello a questa drammatica vicenda, tassello di non poco conto. Durante tutti e seicento i giorni dall’8 settembre ’43 al 25 aprile ’45 la monarchia sabauda, Badoglio e le sfere militari riparatesi presso gli americani avevano riorganizzato una forma di stato, denominato Regno del Sud, con sede a Brindisi. Poco si conosce della reggenza brindisina (settembre ’43-febbraio ’44, successiva capitale Salerno), soprattutto per quanto concerne il contributo che i soldati italiani fedeli al re hanno fornito alla guerra contro i tedeschi.Il volume di Arrigo Petacco e Giancarlo Mazzucca – “La resistenza tricolore. La storia ignorata dei partigiani con le stellette” (Mondadori, 180 pagine, 19 euro) -, di recente pubblicazione, rappresenta un primo, significativo contributo al tentativo di far luce sulla vicenda militare e umana dei “soldati del sud”. Dimenticati dalla storiografia resistenziale, cobelligeranti (mai considerati a pieno titolo alleati di Gran Bretagna e Usa) degli angloamericani, il contributo di sangue di questi italiani fu elevato. Essi tennero fede al proprio giuramento, battendosi con fervore contro i nazisti, arrivando addirittura a liberare, (es. Bologna), alcune città italiane. Proprio come accadrà per quegli internati in Germania che risponderanno all’appello di Mussolini, rinforzando così le divisioni di Graziani, anche gli italiani rinchiusi nei campi britannici e americani si trovano di fronte ad una dura scelta: continuare ad appoggiare il precedente regime, con conseguente allungamento della reclusione, oppure rientrare in Italia per combattere al fianco delle potenze democratiche. Scelta che non può essere valutata sotto un solo profilo: vanno considerate la possibilità di tornare in Italia; il combattere con forze maggiormente organizzate e con maggiori probabilità di vincere la guerra; il concetto di un riscatto ideale di un popolo accusato da più parti di tradimento; il giuramento prestato allo Stato (la monarchia). Queste alcune delle ragioni alla base delle adesioni. Uno tra i più noti e celebri scrittori italiani, Curzio Malaparte, in un capitolo de “La Pelle”, così descrive le nuove truppe italiane: “Quei soldati italiani vestiti di uniformi tolte ai cadaveri inglesi… le loro uniformi erano sparse di nere chiazze di sangue. A un tratto mi accorsi con orrore che quei soldati erano morti. Mandavano un pallido odore di stoffa ammuffita, di cuoio marcio, di carne seccata al sole; […] Il nostro amor proprio di soldati vinti era salvo: ormai combattevamo al fianco degli Alleati, per vincere insieme con loro la loro guerra dopo aver perduto la nostra, ed era perciò naturale che fossimo vestiti con le uniformi dei soldati alleati ammazzati da noi”.Una descrizione dura, feroce, ma nel contempo pietosa quella fornita da Malaparte. Equipaggiamento di fortuna, divisa grigio verde italiana o, come nel caso de “La Pelle”, lacere uniformi inglesi tolte ai caduti. Così comincia l’epopea di questi uomini, epopea per nulla diversa da quella vissuta dai loro ex commilitoni del Nord, soltanto il cui valore permetterà una certa riabilitazione agli occhi degli altri Paesi coinvolti nel conflitto.I primi atti di ostilità verso la Germania avvengono durante le fasi iniziali di mobilitazione tedesca, dopo l’annuncio alla radio del proclama di Badoglio. A Roma come nelle isole greche, ufficiali e soldati obbediscono ad uno degli ultimi ordini ricevuti dallo Stato Maggiore: “[…] risponderanno ad attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Il 9 settembre 1943 a Porta San Paolo, Roma, si consuma una dura battaglia per impedire a formazioni della Wehrmacht di penetrare nella Capitale. Gli invasori riusciranno nel loro intento soltanto dopo aver soffocato la ferma e decisa opposizione di cittadini romani e militari.Nelle isole di Cefalonia e Corfù un’immane tragedia: la Divisione “Acqui” del generale Gandin riceve ordine dal colonnello Barge, comandante la 966esima divisione da Fortezza, di disarmare la “Acqui” . Alla risposta negativa degli italiani la reazione tedesca è terrificante: ai combattimenti (che avranno termine solo il 22 settembre) seguirà un eccidio di proporzioni titaniche, con più di novemila tra soldati e ufficiali trucidati, senza tenere conto delle norme che regolano lo status di prigioniero di guerra, consegnando l’eccidio di Cefalonia alla storia come il più grave crimine di guerra (per citare Simon Wisenthal) compiuto dall’esercito tedesco durante il secondo conflitto. La fedeltà dimostrata da questi uomini al giuramento fatto al re (in Italia, anche dopo il fascismo, la forma di stato era una monarchia costituzionale) spinse gli Alleati a concedere la costituzione del Cil (Corpo italiano di liberazione) nel marzo 1944, che subito si adopera in importanti scontri come quelli che porteranno alla liberazione del porto di Ancona (in realtà preso dai polacchi ma grazie all’intervento decisivo del Cil) e dell’entroterra marchigiano; ancora, sempre nel 1944 reparti italiani entrano per primi a Bologna. Molti i marinai e gli aviatori: marinai sommergibilisti e fanti di marina che si ritrovano al seguito degli inglesi nel sud est asiatico, a dare battaglia ai giapponesi, in unità ideale con quegli internati italiani costretti dai nipponici a lavorare alla stregua di schiavi nella costruzione di vie di comunicazione nel Borneo. Le ultime importanti azioni nel 1945: a pochi giorni dalla liberazione di Genova, commandos del Sud silurano la portaerei “Aquila” (Marina Repubblicana), per paura che i tedeschi potessero usarla per ostruire l’imboccatura del porto cittadino.Malgrado sangue e sudore versati sui campi di battaglia d’Europa e, come abbiamo visto, in estremo oriente, la storiografia resistenziale ha dimenticato tout court i “ragazzi del Sud”. A differenza di formazioni completamente politicizzate come le Garibaldi o le Matteotti, i “partigiani con le stellette” (parafrasando Petacco) sono l’emanazione di un tentativo di rinascita della nazione e del senso di comunità, nonché un tentativo di ricostruire (e rappresentare) uno Stato. Essi non combattono per una ideologia, quanto per il concetto nazionale, quindi per una collettività. A sessantasette anni da quel tragico 1943, il passato più prossimo dell’Italia sembra ancora avvolto in un fitto strato di nebbia. Non si comprende con esattezza il motivo per cui quella fase della nostra storia sia così gelosamente protetta e lasciata fuori dalla portata di qualsiasi analisi o studio. Interessante, peraltro, è capire perché a non destare interesse siano i militari del governo di Brindisi: è inopinabile che essi abbiano abbracciato a pieno la causa della libertà e che abbiano appoggiato la campagna militare di Londra e Washington senza riserve, come d’altro canto indiscutibile la loro avversione al fascismo, anche perché i prigionieri delle tante battaglie contro i tedeschi non ricevettero certo un trattamento di favore.Il volume di Mazzucca e Petacco rende nota al grande pubblico la tragica avventura di questi ragazzi, dopo più di mezzo secolo di incomprensibile silenzio. L’unica speranza è quella di non dover aspettare altri sessant’anni e oltre per sapere il motivo di tanto ostracismo.SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-49057496813712371232010-09-14T01:22:00.000+02:002010-09-14T01:22:53.054+02:00S-21, LA MACCHINA DI MORTE DEI KHMER ROSSI.<em><strong>Di seguito una bella recensione del nostro amico Julius, redattore particolarmente interessato ad argomenti che riguardano la storia dimenticata di popoli e paesi rimasti, in tempi non sospetti, vittime di guerre interne e totalitarismi.</strong></em><br />
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<em><strong>Nord</strong></em><br />
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Autori: Rithy Panh, Christine Chameau.<br />
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“La ruota della Storia avanza. E’ impossibile impedirle di passare senza essere schiacciati”. SLOGAN DEI KHMER ROSSI.<br />
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Il 17 aprile 1975 i Khmer Rossi, ovverosia le milizie rivoluzionarie di Pol Pot , prendono il potere in Cambogia occupando la capitale Phnom Penh. Lo scopo delle armate comuniste è quello di realizzare nel più breve tempo possibile “il grande balzo in avanti del paese”. Pol Pot, leader supremo del nuovo regime, è deciso a riorganizzare con la forza l’intera società cambogiana avvalendosi della spietata decisione dei suoi sottoposti che non esiteranno a compiere efferatezze d’ogni genere pur di realizzare “la prima rivoluzione socialista perfetta”. La conseguenza della volontà pseudo-marxista di abbattere una società per poi ricostruirla secondo i suo ferrei dettami è che in tutta la Cambogia gli abitanti delle città vengono trasferiti nelle campagne in campi di lavoro costituiti apposta per rieducare le persone “deviate”. I cittadini sono chiamati i “17 aprile” o “il popolo nuovo”, epiteti dispregiativi usati per designare le persone che non avevano preso parte alla guerriglia e che quindi dimostravano di essere “inquinate” dalle influenze straniere (ricordiamoci che la Cambogia era stata sotto i francesi).<br />
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Dal 1975 al 1979 i ritmi di lavoro infernali stabiliti dai dirigenti della dittatura e le inarrestabili esecuzioni sommarie porteranno alla morte circa 2 milioni di cambogiani. Di questi, ben 14.000 sono stati torturati e giustiziati dai membri dell’ufficio di sicurezza nazionale S-21, situato in un ex-liceo della capitale Phnom Penh. Questo organo del regime era posto agli ordini diretti del Comitato Centrale e aveva l’incarico di estorcere ai detenuti ammissioni di sabotaggio nei confronti del Partito e della sua “missione modernizzatrice”. <br />
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Ma come funzionava l’S-21? Il libro risponde al quesito riportando le testimonianze dei pochi sopravvissuti e di alcuni ex- carcerieri.<br />
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-IL LIBRO-<br />
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L’ARRIVO.<br />
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Ogni giorno all’S-21 arrivavano camion carichi di prigionieri. La procedura era sempre la stessa: gli sventurati venivano bendati e fatti scendere dall’automezzo; i Khmer Rossi li facevano sedere per terra, li interrogavano sul luogo di provenienza e sul loro lavoro. Successivamente le guardie legavano una corda al collo dei prigionieri e li conducevano senza troppi riguardi nei meandri del carcere. La camminata incerta dei prigionieri era motivo di scherno, chi cadeva riceveva calci. Ad un certo punto i prigionieri venivano fatti fermare per far delle foto che sarebbero servite a compilare i loro dossier. In questa circostanza i detenuti dovevano sdraiarsi per terra e non potevano muoversi fino al termine dell’operazione. Chi si alzava senza autorizzazione veniva preso a bastonate. <br />
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-PRIVAZIONI E TORTURE-<br />
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Quando i prigionieri arrivavano erano persone normali, di costituzione sana, ancora in carne. Dentro il carcere imparavano a conoscere il significato della parola “Fame”. La nutrizione era scarsissima, irrisoria, e l’apporto di vitamine nullo. Ai detenuti veniva elargita acqua di bollitura di riso (!) due volte al giorno. In tali condizioni i prigionieri pur di nutrirsi un minimo erano disposti a mangiare qualsiasi cosa; la disperazione rimuoveva qualsiasi freno inibitore. Narra Nath, uno dei sopravvissuti all’S-21: << … A volte, la notte, la luce attirava gli insetti. Cadevano qua e là. Noi li prendevamo piano piano e li mettevamo in bocca. Ma se il guardiano ci sorprendeva, entrava, si toglieva la scarpa e ci dava tre o quattro colpi sulle orecchie. Perdevamo conoscenza. L’insetto ci usciva di nuovo dalla bocca. I nostri occhi diventavano blu, quasi sanguinavano …>><br />
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La fame, purtroppo, era solo un aspetto dell’inferno chiamato S-21. L’ottusità e la violenza dei comunisti cambogiani raggiungevano l’apice negli interrogatori che venivano regolarmente svolti con brutale decisione dall’aguzzino di turno. <br />
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I detenuti venivano interrogati singolarmente. Bendati e con le mani legate dietro la schiena erano condotti in disadorne stanze munite soltanto di una sedia e di un tavolo con annessi fogli su cui scrivere la propria confessione. Il carcerato veniva fatto sedere, gli veniva messo un ceppo ai piedi che poi era fissato al tavolo. Dopodiché, tolta anche la benda, per prima cosa veniva picchiato in modo che fosse più propenso a parlare. Subito dopo iniziavano le domande. Del tipo: <<come capo?="" chi="" cia?="" da="" delle="" entrato="" fai="" il="" kgb?="" nel="" nella="" nemiche?="" o="" parte="" quanto="" sei="" truppe="" tuo="" è="">>. E altre amenità del genere. Il detenuto in tutta sincerità rispondeva di non sapere nulla, che non aveva contatti col nemico, che non era una spia, ma questo era il tipo di risposte che non piaceva ai carcerieri. Indottrinati com’erano davano per scontato che se uno era finito all’S-21 era sicuramente un pericoloso sovversivo. Quindi era abituato a mentire. Quindi andava picchiato. I calci e i pugni, come pure le bastonate, non risparmiavano nessuno. Inoltre le torture non finivano con un solo interrogatorio, il malcapitato doveva subire altre sessioni finché non confessava, dipendeva solo dalla sua forza di volontà. Poteva anche essere rinterrogato perché alcuni passi delle sue dichiarazioni risultavano oscure ai vertici. E i carcerieri non si ponevano limiti di tempo. Per fiaccare l’animo dei detenuti ricorrevano a qualsiasi pratica: si sa di prigionieri che hanno conosciuto la frusta sulla pelle della loro schiena o che hanno sperimentato il terrore di essere quasi soffocati con dei sacchi messi in testa. Per non parlare dell’uso sistematico degli elettrodi che ha segnato nel corpo e nella mente tanti cambogiani innocenti. La diffusa pratica di strappare le unghie delle mani e dei piedi, poi, quasi sempre bastava a far confessare anche l’inverosimile a tutti quelli che un minimo erano riusciti a resistere fino a quel momento. La testimonianza di Pha Than Chan, sopravvissuto a queste angherie grazie al suo spirito indomito, è un concentrato di tutte queste cose. Fu arrestato nel 1977 e sebbene fosse torturato regolarmente non ha mai ceduto: << … Mi hanno interrogato per circa un anno. La tortura era terribile. A volte non riuscivo più a respirare. Il dolore era spaventoso. Se non avevi niente da dire cominciavano a picchiare con la frusta. Potete guardare la mia schiena, è ancora piena di cicatrici. Se non rispondevi ti colpivano con una mazza. Alla fine usavano gli elettrodi. Quando perdevi conoscenza, passavano ad altre torture. Si stupivano della mia resistenza. Mi laceravano la carne, mi strappavano le unghie. A loro non importava sapere se sarei morto oppure no …>>. <br />
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-CONCLUSIONI-<br />
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Il libro di Rithy Panh è un campionario di atrocità che colpisce il lettore con forza inaudita. L’acquisto è consigliato a tutti per capire meglio cosa è stato il dominio comunista in Cambogia e soprattutto riflettere sul fatto che non esiste un “Male Assoluto” ma “tanti mali” che sono “assoluti” per chi ha la disgrazia di esserne risucchiato, in qualsiasi epoca e in qualsiasi luogo del mondo. Voglio chiudere la recensione riportando uno scambio di battute tra il superstite Nath e l’ex-carceriere Houy affinché tutti possano capire a quali conseguenze porti il lavaggio del cervello attuato dai sistemi totalitari e quanto la dittatura dei Khmer Rossi sia stata un “male assoluto” per il popolo cambogiano.<br />
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<< … E i bambini, alcuni non avevano neanche un anno, erano ancora lattanti, sapevano appena camminare, contro cosa erano? >> chiede Nath. << Erano anche loro dei nemici? >><br />
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Risposta: << I funzionari del Partito dell’S-21 ci hanno insegnato: “Quando il Partito arresta qualcuno, arresta un nemico del Partito >> spiega Houy.SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-28239739451480940642010-09-04T18:59:00.001+02:002010-09-04T18:59:12.506+02:00I sette colori di Robert Brasillach (la recensione di Piersandro Pallavicini)<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Un romanzo che mi ha (positivamente) sorpreso. Davvero, credevo tutt'altro. Brasillach si porta dietro un'aura oscura. Francese, fascista convinto, alla fine della seconda guerra mondiale fu giustiziato per collaborazionismo. Unico scrittore (che io sappia) a subire in Francia questo destino, a differenza, per esempio, di Drieu La Rochelle (è interessante notare che per Brasillach, emessa la condanna a morte per collaborazionismo, ci fu una mobilitazione di scrittori francesi, tra i quali molti di area comunista, per chiederne la grazia, che venne però rifiutata). E' un'icona della destra intellettuale (e non), anche di quella italiana: per esempio, la sua sagoma campeggia sui muri di Casa Pound, a Roma. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Di questo libro (per il quale devo ringraziare Roberto Alfatti Appetiti, che me ne ha gentilissimamente regalata una delle rare copie disponibili) la quarta di copertina evidenzia i contenuti che vanno alle radici dei miti fascisti... </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ma è in parte fuorviante. Sì, di fascismo si parla eccome. Si parla per esempio della guerra civile in Spagna, si parla del protagonista maschile che finisce a fare il precettore, in Italia, per una famiglia fascista. E si parla di un periodo speso sempre da costui nella Germania nazista, dove assiste alle "colossali" celebrazioni, riunioni, manifestazioni naziste. E se sul nazismo (riguardo al quale la questione razziale è totalmente ignorata. E il libro è del 39!) se non altro ci sono delle considerazioni nell'area del dubbio, per il fascismo italiano e spagnolo il trattamento è apologetico. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Io non sono fascista, anzi starei nell'area della sinistra. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ho provato fastidio, irritazione? No, e qui sta la sorpresa. Credevo di adontarmi. Invece per niente. Invece Brasillach entra nelle emozioni (non nelle ragioni) del fascismo da bravo scrittore, cioè facendole distillare dal racconto, non enunciandole, quindi rendendole credibili, digeribili, sensate. Conduce anzi il lettore a considerare un momento storico a posteriori orribile (io continuo a considerarlo così, anche dopo questa lettura) nel momento in cui si concretizzava. Fa capire da dove potesse nascere l'entusiasmo di chi, allora, diventava fascista non per imposizione ma per convinzione. E questo lo fa anche col nazismo (anche se, lo ripeto, i campi di concentramento non si possono ignorare, e qui sta il difetto più grande di questo libro). Lo fa non su ragionamenti che attengono alla politica ma, ripeto, con le emozioni, in un percorso attraverso il culto della giovinezza, del cameratismo, della fratellanza, della gioia del celebrare la grandiosità della propria nazione. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Naturalmente, ripeto, a posteriori sappiamo che tutto questo aveva ben altre, terribili conseguenze. Ma come dire: il romanzo va letto senza preconcetti. E' scritto splendidamente (non sto a parlare del cotè sperimentale, di ricerca sulla tecnica, interessante e in buona parte riuscito), si legge come si legge un buon romanzo, pieno di storie, di amicizia, di amore, e in più aiuta a capire qualcosa che, oggi, sembra ancora vietato prendere anche semplicemente in considerazione. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Piersandro Pallavicini (Vigevano, 1962) è uno scrittore e ricercatore universitario italiano. Ha iniziato a produrre racconti pubblicati su riviste online negli anni '90, tra cui Fernandel, per i cui tipi è uscita la sua raccolta di racconti Anime al neon nel 2002. Il suo romanzo d'esordio è Il mostro di Vigevano, pubblicato nel 1999 da Pequod. E' poi passato alla casa editrice Feltrinelli, per la quale ha pubblicato Madre nostra che sarai nei cieli (2002), Atomico Dandy (2005) e African Inferno (2009). In quest'ultimo in particolare Pallavicini esamina il tema dell'immigrazione africana in Italia, ambientando il romanzo nella provincia italiana, a Pavia. Al tema dell'immigrazione africana in Italia appartiene anche il romanzo breve del 2010, A braccia aperte, pubblicato nella collana Verdenero Romanzi delle Edizioni Ambiente.</span> <br />
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<em>Articolo per L'eminente dignità del provvisorio </em>- Fonte: <a href="http://robertoalfattiappetiti.blogspot.com/">http://robertoalfattiappetiti.blogspot.com/</a>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-58297848149363845542010-09-03T15:30:00.000+02:002010-09-04T18:50:49.579+02:00SCUOLA: "ECCO I NUMERI DEL TEMPO PIENO IN TOSCANA. LA REGIONE CHIEDA SCUSA ALLA GELMINI"<br> <div class="gmail_quote"><div link="blue" vlink="purple" lang="IT"> <div> <p class="MsoNormal" style="text-align: right;" align="right"><i>Firenze, 3 settembre 2010</i></p> <p class="MsoNormal"><b><span style="font-size: 16pt;"> </span></b></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: center;" align="center"><b><u><span style="font-size: 16pt;">Comunicato stampa</span></u></b></p> <p class="MsoNormal"><b><span style="font-size: 16pt;"> </span></b></p> <p class="MsoNormal"><b><span style="font-size: 16pt;">SCUOLA, DONZELLI (PDL): "ECCO I NUMERI DEL TEMPO PIENO IN TOSCANA. LA REGIONE CHIEDA SCUSA ALLA GELMINI"</span></b></p> <p class="MsoNormal"><b><span style="font-size: 16pt;"> </span></b></p> <p class="MsoNormal"> "Dopo mesi di polemiche, sceneggiate, bugie, forzature, strumentalizzazioni di bambini e letterine faziose, i numeri ufficializzati ieri dal Governo parlano da soli: in Toscana il tempo pieno continua ad aumentare grazie all'Esecutivo di centrodestra, nonostante la crisi e le difficoltà economiche. Visti i dati, il presidente Rossi e la sua vice Stella Targetti dovrebbero ammettere di aver detto un sacco di baggianate, e se avessero un minimo di coerenza dovrebbero riscrivere un'altra letterina al Ministro Gelmini, ma stavolta con le scuse e i ringraziamenti al Governo da parte dei toscani".<b><span style="font-size: 16pt;"></span></b></p> <p class="MsoNormal"> </p> <p class="MsoNormal">Così Giovanni Donzelli, vicepresidente della commissione istruzione in Regione, mostrando un grafico con i dati dal 2008 ad oggi delle classi a tempo pieno in Toscana garantite dal Governo ed illustrando i dati disaggregati provincia per provincia sul tempo pieno nelle scuole primarie in Toscana. </p> <p class="MsoNormal"> </p> <p class="MsoNormal">"Nell'anno scolastico che sta per iniziare – ha affermato Donzelli - a <b>Firenze</b> si contano 38955 alunni e 1841 classi totali: di queste ben 1090, per un totale di 23983 bambini, saranno a tempo pieno (con una percentuale di tempo pieno su tempo normale del 59,2% per le classi e del 61,6% degli alunni). A <b>Prato</b> sono 7110 i bambini (314 classi) che godranno del tempo pieno su un totale di 10452 alunni e 471 classi totali (rispettivamente il 68% ed il 66,7%). Ad <b>Arezzo</b> i dati indicano un totale di 758 classi e 14145 bambini, con 194 classi e 3802 alunni che usufruiranno del tempo pieno. A <b>Grosseto</b> 448 classi e 8424 alunni totali, di cui 3467 (180 classi) a tempo pieno. A <b>Livorno</b> si contano 281 classi e 5939 alunni che avranno l'orario prolungato su un totale rispettivamente di 622 classi e 12660 alunni totali. A <b>Lucca</b> sono 304 le classi a tempo pieno, con 5773 bambini su un totale di 841 classi e 15784 bambini. A <b>Massa-Carrara</b> i dati parlano di 116 classi e 2237 bambini che usufruiranno del tempo pieno su un totale di 389 classi e 7047 alunni. A <b>Pisa </b>sono 229 classi e 4754 alunni su un totale di 866 classi e 17116 alunni totali. A <b>Pistoia</b> i dati indicano un totale di 599 classi e 12009 alunni, con 159 classi e 3518 bambini. A <b>Siena </b>sono 4899 gli alunni che godranno del tempo pieno su un totale di 10830 (241 classi su 560 totali). <b>Il</b> <b>dato regionale aggregato</b> indica un incremento costante da quando Berlusconi è tornato al Governo: nel 2007-2008 infatti erano 2877 le classi a tempo pieno, contro le 2932 del 2008-2009, le 3084 del 2009/2010 e le 3108 di quest'anno (con percentuali che sono passate dal 38,9% del primo anno al 42 % di quest'ultimo", ha proseguito il consigliere regionale. </p> <p class="MsoNormal"><br> "Chi ha a cuore il futuro e l'istruzione fa poche polemiche e molti fatti. La sinistra e la Cgil vogliono solo difendere gli sprechi e le assunzioni a pioggia fatte per accontentare i sindacati. La scuola per fortuna adesso non sarà più un ammortizzatore sociale ma il luogo della crescita, della cultura e del merito. Mi spiace per il Pd e la Cgil, ma la scuola, grazie al Ministro Gelmini, anche in Toscana avrà al centro i ragazzi e non gli interessi della casta sindacale", ha concluso Donzelli.</p> <p class="MsoNormal"> </p> <p class="MsoNormal">In allegato i file contenenti i dati disaggregati e il grafico sul tempo pieno in Toscana negli ultimi quattro anni scolastici.</p> <p class="MsoNormal"><span style="font-size: 11pt;"> </span></p> </div> </div> </div><br> SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-51203710659599956512010-09-02T12:26:00.000+02:002010-09-04T18:50:49.612+02:00SCUOLA: Targhe anti-Gelmini nelle materne, Donzelli (Pdl) «Targetti vergognati, non si targano i bambini»Targhe anti-Gelmini nelle scuole materne, Donzelli (Pdl)<p>«Targetti vergognati, non si targano i bambini»<p>«Mi impegno ad andare personalmente a staccarle. Tutte e 93»<p> «Targetti vergogna, non si targano i bambini». E' una stroncatura<br>netta, quella che il Vicepresidente della Commissione regionale V<br>(Cultura e Istruzione) Giovanni Donzelli, Consigliere regionale del<br>Pdl, rivolge all'iniziativa con cui la Vicepresidente della Regione<br>Stella Targetti, con delega proprio all'istruzione, ha condito la<br>firma dell'accordo per l'istituzione di 93 nuove classi di scuola<br>materna sul territorio toscano.<p> «La sinistra – sostiene Donzelli – vuole coltivare il consenso<br>catechizzando anche i fanciulli. Forse per questo, con una mossa che<br>ha dello scandaloso, pare abbia ben pensato di consegnare alle varie<br>scuole dove si trovano le 93 sezioni sovvenzionate dalla Regione<br>Toscana delle targhe per affermare una sorta di proprietà ideologica<br>su quelle classi e, di conseguenza, sulla loro baby-popolazione».<p> «Quello della targa è un obbrobrio – ci va giù duro Donzelli –<br>un gesto che, riguardando i più piccolini, non esito a definire<br>scandaloso e osceno. Marchiare i bambini, queste targhe<br>autocommemorative e auto celebrative… sono atti degni dei peggiori<br>regimi di stampo ex-Sovietico». Secondo l'esponente del Pdl il fatto è<br>che la Regione, soprattutto nel caso specifico in cui con uno<br>stanziamento di 5 milioni e 300 mila euro ha garantito il posto alla<br>materna a ulteriori 2.300 bambini, dovrebbe semmai essere soddisfatta<br>di aver contribuito a un maggior benessere sociale. «Invece no –<br>afferma Donzelli – qui si pensa a catechizzare ideologicamente i<br>bambini, a produrre consenso all'interno delle scuole dell'infanzia,<br>attraverso un'operazione che definire di bieca polemica è fin troppo<br>indulgente».<p> Donzelli chiude con un impegno preciso: «Mi voglio augurare che<br>l'iniziativa sia la svista di una persona non abituata a confrontarsi<br>con la democrazia e con la politica qual è la Vicepresidente Targetti.<br>Se però si dovesse procedere con questa storia delle targhe sulle<br>classi, io mi impegno personalmente ad andare a staccarle una per una,<br>tutte e 93».SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-33367055755864040332010-08-16T11:20:00.000+02:002010-09-04T18:50:49.627+02:00COMUNICATO STAMPA - DEGRADO NELLE PIAZZE DI RIFERDI<p class="mobile-photo"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEha5QhbZmSLGw305lSTywHC2zL6FC7oTWSPaorw5si9gKvldB7EoxQwVss_B8ea2SBMRcV8q1Sn2ZBX86XsQ6zbUGdSnmmB3V7o5IkXFQRzvJrOKHVcz75KuqY-i9g7VeIzrOcYIvTZ4zs/s1600/CAMPING_DALMAZIA-715473.jpg"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEha5QhbZmSLGw305lSTywHC2zL6FC7oTWSPaorw5si9gKvldB7EoxQwVss_B8ea2SBMRcV8q1Sn2ZBX86XsQ6zbUGdSnmmB3V7o5IkXFQRzvJrOKHVcz75KuqY-i9g7VeIzrOcYIvTZ4zs/s320/CAMPING_DALMAZIA-715473.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5505935111142622002" /></a></p><p class="mobile-photo"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6rB0CgFyKRXEH7lzGj9-GqUl3JVUiU9vycuGBz7s9DitgfsFD2nHkkhqCMFfVu8MvkBsQbRu3nAR58zAO09J_lzQy1KWsNhp283ee11dLVy5Ueo8qoBo62mvFHNaIQc2Enx-oE8FZViY/s1600/CAMPING_VITTORIA_01-716229.jpg"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6rB0CgFyKRXEH7lzGj9-GqUl3JVUiU9vycuGBz7s9DitgfsFD2nHkkhqCMFfVu8MvkBsQbRu3nAR58zAO09J_lzQy1KWsNhp283ee11dLVy5Ueo8qoBo62mvFHNaIQc2Enx-oE8FZViY/s320/CAMPING_VITTORIA_01-716229.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5505935112090582514" /></a></p><p class="mobile-photo"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOfOjMcGi-pNUdfvRlDEy6zz9mmgMPmbNx0CiikosHt8yLq7wX9TGKsPpRw4uHG2pNkpE4ae16WR2ClDHq7V-87wlNPXIN-hej_ZhD_BGvu_N9-C8_YLyUF4z_JF6Nv74_bFXNwf-NjsQ/s1600/CAMPING_VITTORIA_02-717859.jpg"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOfOjMcGi-pNUdfvRlDEy6zz9mmgMPmbNx0CiikosHt8yLq7wX9TGKsPpRw4uHG2pNkpE4ae16WR2ClDHq7V-87wlNPXIN-hej_ZhD_BGvu_N9-C8_YLyUF4z_JF6Nv74_bFXNwf-NjsQ/s320/CAMPING_VITTORIA_02-717859.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5505935121818982802" /></a></p><meta http-equiv="Content-Type" content="text/html; charset=utf-8"><div style="visibility: hidden; display: inline;" id="avg_ls_inline_popup"></div><style type="text/css">#avg_ls_inline_popup { position:absolute; z-index:9999; padding: 0px 0px; margin-left: 0px; margin-top: 0px; width: 240px; overflow: hidden; word-wrap: break-word; color: black; font-size: 10px; text-align: left; line-height: 13px;}</style><meta name="ProgId" content="Word.Document"><meta name="Generator" content="Microsoft Word 11"><meta name="Originator" content="Microsoft Word 11"><link rel="File-List" href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cutente%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml"><style> <!-- /* Style Definitions */ p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-parent:""; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:12.0pt; font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";} @page Section1 {size:612.0pt 792.0pt; margin:70.85pt 2.0cm 2.0cm 2.0cm; mso-header-margin:36.0pt; mso-footer-margin:36.0pt; mso-paper-source:0;} div.Section1 {page:Section1;} --> </style> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b style="">DONZELLI, MORETTI, CASTELNUOVO TEDESCO (PDL): «"CAMPING ROM" NELLE PIAZZE EMBLEMA DI DEGRADO E ABUSIVISMO»</b></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"> </p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">«Le piazze fiorentine d'estate si trasformano in camiping abusivi per ROM, sbandati e clandestini. Nel quartiere cinque Piazza della Vittoria e Piazza Dalmazia sono devastate dal degrado. <br> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il Sindaco Renzi in campagna elettorale aveva sbandierato un grande amore per Piazza Dalmazia, deliziandoci con i suoi racconti autobiografici di quando studiava al Dante e passava le giornate in quella Piazza. Oggi che Renzi è sullla poltrona, la piazza è abbandonata al degrado. In Piazza Dalmazia, invece, quando la mattina si alzano i campeggiatori abusivi, nello stesso posto sorge il mercato alimentare; dove hanno dormito e urinato rom e abusivi si posano le casse della frutta e della verdura. Ci chiediamo con quale sicurezza sanitaria per gli acquirenti.»</p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Dichiarano il consigliere regionale Giovanni Donzelli (PdL), assieme ai consiglieri del Quartiere 5 Chiara Moretti e Guido Castelnuovo Tedesco.</p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">«Diciamo basta ai "camping estivi" dei rom nelle piazze di Rifredi. Il Comune di Firenze e la Polizia Municipale affrontino di petto un problema così concreto e annoso», .</p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">«Da troppo tempo le piazze del quartiere di Rifredi sono interessate dai bivacchi dei nomadi ed extracomunitari, che le hanno ormai adibite a dormitori ed a bagni pubblici a cielo aperto. <br></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">«In piazza della Vittoria i nomadi si sono persino attrezzati con brande e coperte rinvenute nell'immondizia».</p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">«Questa situazione degradante è però nota all'Amministrazione comunale. Già nell'aprile scorso l'Assessore al decoro, Massimo Mattei, nei suoi tanto fugaci quanto improvvisati sopralluoghi definiva la situazione di piazza Dalmazia come "problematica e bisognosa di interventi mirati" – proseguono Donzelli, Moretti e Castelnuovo Tedesco – senza che però nulla sia cambiato».</p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">«Questi veri e propri "camping estivi" dei nomadi sono il simbolo di una città degradata, dove abusivismo, bivacchi e accattonaggio fanno da padroni durante la stagione calda. Il reparto antidegrado della Polizia Municipale, nonché gli invisibili "angeli del bello", rischiano davvero di divenire l'emblema dell'inefficacia della Giunta Renzi nella lotta alle zone degradate».</p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">«L'assessore Mattei farebbe bene a mettere a punto una politica seria mirata alla qualità della vita – concludono Donzelli, Castelnuovo Tedesco e Moretti –, anziché fare stravaganti sopralluoghi dalla scarsa concretezza e dalla assoluta inefficacia, facendo sì che realtà come piazza Dalmazia e piazza della Vittoria siano quanto prima riportate al decoro. I fiorentini sono esausti del degrado».</p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Allegate 3 foto a riprova di quanto dichiarato<br> </p> SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-44206239096529703052010-08-15T18:45:00.000+02:002010-08-15T18:45:31.811+02:00Agosto 1944: Firenze e i franchi tiratori<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il sito dal quale è tratto il seguente articolo non è una pagina pregna di stancante reducismo e bieco revisionismo, bensì un centro di studio e documentazione sulla drammatica stagione della guerra civile. ( <em>fonte</em>: <a href="http://fondazionersi-roma.blogspot.com/">http://fondazionersi-roma.blogspot.com/</a> )</span><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Marco della Redazione</span></em><br />
<em><span style="font-family: Georgia;">------------------------------------------------------------------------------</span></em><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">Curzio malaparte nell'ultimo momenti di vita dei "franchi tiratori" Fiorentini</span><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">" non trattero' la storia di Malaparte,ma da una sua testimonianza,dedichero' l'eroismo di alcuni giovani franchi tiratori di Mussolini,che catturati dalle formazioni partigiane ed esposti davanti alla folla fiorentina,sbeffeggiarono i loro catturandi,la folla e la morte che avveniva all'istante.Malaparte si trovo' lì,come corrispondente di guerra a seguito delle truppe anglo-americane,lasciando la sua testimonianza in un libro famoso dal titolo "la pelle".Infine si ringrazia F.Enrico accolla che grazie al suo libro "lotta su tre fronti" ne riporta l'eroismo di questi giovani fascisti.</span><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">Così Malaparte descriveva quella giornata fiorentina:</span><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">"I ragazzi seduti sui gradini di santa Maria novella,la piccola folla di curiosi raccolta intorno all'obelisco,l'ufficiale partigiano a cavalcioni dello sgabello ai piedi della scalinata della chiesa,coi gomiti appoggiati sul tavolino di ferro preso a qualche caffe' della piazza,la squadra di giovani partigiani della divisione comunista armati di mitra ed allineati sul sagrato davanti ai cadaveri distesi alla rinfusa l'uno sull'altro,parevano dipinti di masaccio nell'intonaco dell'aria grigia.Illuminati a picco dalla luce di gesso sporco che cadeva dal cielo nuvoloso,tutti tacevano,immoti,il viso rivolto tutti dalla stessa parte.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">un filo di sangue colava giu' dagli scalini di marmo.</span><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">i fascisti seduti sulla gradinata della chiesa erano ragazzi di quindici o sedici anni,dai capelli liberi sulla fronte alta,gli occhi neri e vivaci nel lungo volto pallido.Il piu' giovane,vestito di una maglia nera e di un paio di calzoncini corti che gli lasciavano nude le gambe degli stinchi magri,era quasi un bambino.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">C'era anche una ragazza tra loro:giovanissima,nera d'occhi e dai capelli,sciolti sulle spalle,di quel biondo scuro che s'incontra spesso in toscana tra le donne del popolo,sedeva con il viso riverso,mirando le nuvole d'estate sui tetti di Firenze lustri di pioggia,quel cielo pesante e generoso di qua e la' screpolato,simile ai cieli di masaccio sugli affreschi del Carmine...</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">l'ufficiale partigiano...tese il dito verso uno di quei ragazzi e disse:"tocca a te,come ti chiami?"."oggi tocca a me"-disse il ragazzo alzandosi,"ma un giorno o l'altro tocchera' a lei",-"come ti chiami?"-"mi chiamo come mi pare"-rispose il ragazzo-"o gli rispondi a fare a quel muso di bischero?" gli disse il suo compagno seduto accanto a lui.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">"Gli rispondo per insegnarli l'educazione a quel coso!"-rispose il ragazzo,asciugandosi con il dorso della mano la fronte matida di sudore.Era pallido e gli tremavano le labbra.Ma rideva con aria spavalda guardando fisso l'ufficiale partigiano.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">L'ufficiale abbasso la testa e si mise a giocherellare con una matita.Ad un tratto tutti i ragazzi presero a parlare fra di loro ridendo,parlavano con accento popolano di san Frediano,santa Croce,di Palazzolo.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">"E quei bigherelloni che stanno a guardare?o non hanno mai visto ammazzare un cristiano?"-"e come si divertono quei mammalucchi!"-"li vorrei vedere vedere al nostro posto sicche' farebbero quei finocchiacci!"-"scommetto che si butterebbero' in ginocchio"-"li sentiresti strillare come maiali,poverini".</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">I ragazzi ridevano pallidissimi fissando le mani dell'ufficiale partigiano.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">"Guardalo bellino,con quel fazzoletto rosso al collo"."o che gli e'?"-"o chi ha da essere:gli e' Garibaldi"-"quel che mi dispiace"-disse il ragazzo-"gli e' d'essere ammazzato da quei bucaioli!"-"un la far tanto lunga,moccione"-grido' uno dalla folla."se l'ha furia venga al mio posto"- ribatte' il ragazzo ficcandosi le mani in tasca.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">L'ufficale partigiano alzo' la testa e disse:</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">"Fa presto!non mi far perdere tempo.Tocca a te.".-"se gli e' per non farle perdere tempo"-disse il ragazzo con voce di scerno-"mi sbrigo subito" e scavalcati i compagni ando' a mettersi davanti ai partigiani armati di mitra,accanto al mucchio di cadaveri,proprio in mezzo alla pozza di sangue che si allargava sul pavimento di marmo del sagrato.</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">"Bada di non sporcarti le scarpe!"-gli grido' uno dei suoi compagni;e tutti si misero a ridere...</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">il ragazzo grido':"viva Mussolini!" e cadde crivellato di colpi"</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">F.Enrico accolla conclude...</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">"la storia e' grata a Curzio Malaparte,antifascista,al seguito delle armate anglo-americane,per la testimonianza di tanto sprezzante coraggio da parte di quei "repubblichini".</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">anche io rimango impressionato per tanto coraggio,fierezza e affronto di questi giovani ragazzi,che Firenze non li volle piu’ in vita perche' erano dei vinti."</span><br />
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<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><br />
<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">Tratto da </span><a href="http://www.libridecimrsi.blogspot.com/"><span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">www.libridecimrsi.blogspot.com</span></a>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-55142383024532505922010-08-12T13:21:00.000+02:002010-09-04T18:50:49.645+02:00Comunicato stampa Giovane Italia/Azione Universitaria Firenze<p class="mobile-photo"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKp1z9M_2TF066p0kaBqHBFlLt3N1lfoZOhyphenhyphenoeXUyb6Brz42luA5GIz1sjJNxSpVi8V8V9oMUzj37NIWg4FYvI_b0_xo6fzWBJnGgbz71_u0zsNWQ_yzDVJ908eKrT6_IqR2ghUyzwV7s/s1600/manifestazione+fiumicino-725179.jpg"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKp1z9M_2TF066p0kaBqHBFlLt3N1lfoZOhyphenhyphenoeXUyb6Brz42luA5GIz1sjJNxSpVi8V8V9oMUzj37NIWg4FYvI_b0_xo6fzWBJnGgbz71_u0zsNWQ_yzDVJ908eKrT6_IqR2ghUyzwV7s/s320/manifestazione+fiumicino-725179.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5504482171075254610" /></a></p><p class="mobile-photo"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVvkIVtfsgfKxJ6hkWPbOjMe2OPYudFL4f5vtNhNxgug1chQyGDuKNvuiod7MDrm3OVUBsE7EEOBzaHqyvgDHF-sCaHK5J6ePMz8QdMGiEMj5h90NEcKeHCqHUFvzGmdBBzDEtg3w4HDM/s1600/manifestazione+fiumicino2-728746.jpg"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVvkIVtfsgfKxJ6hkWPbOjMe2OPYudFL4f5vtNhNxgug1chQyGDuKNvuiod7MDrm3OVUBsE7EEOBzaHqyvgDHF-sCaHK5J6ePMz8QdMGiEMj5h90NEcKeHCqHUFvzGmdBBzDEtg3w4HDM/s320/manifestazione+fiumicino2-728746.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5504482183663761778" /></a></p><div>Salve</div> <div>in allegato(e di seguito) il comunicato stampa e le fotografie della manifestazione all' Aeroporto di Fiumicino contro il turismo pedofilo.</div> <div> </div> <div>Distinti saluti</div> <div><strong> </strong></div> <div><strong></strong> </div> <div style="TEXT-ALIGN: right"><strong> Matteo Fanelli</strong></div> <div style="TEXT-ALIGN: right">dirigente di Firenze </div> <div style="TEXT-ALIGN: right">movimento politico universitario Azione Universitaria/Giovane Italia</div> <div style="TEXT-ALIGN: right">tel: <strong>333-6498516</strong></div> <div style="TEXT-ALIGN: right"> </div> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><br style="mso-ignore: vglayout" clear="all"> <table cellspacing="0" cellpadding="0" width="100%"> <tbody> <tr> <td style="BORDER-RIGHT: #ece9d8; BORDER-TOP: #ece9d8; BORDER-LEFT: #ece9d8; BORDER-BOTTOM: #ece9d8; BACKGROUND-COLOR: transparent"> <div> <p class="Contenutocornice" style="MARGIN: 0cm 0cm 6pt"><b><span style="FONT-FAMILY: Arial; mso-bidi-font-family: 'Times New Roman'">GIOVANE ITALIA FIRENZE</span></b></p></div></td></tr></tbody></table><span style="FONT-FAMILY: Arial; mso-bidi-font-family: 'Times New Roman'"></span></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><font face="Times New Roman" size="3"> </font></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><font face="Times New Roman" size="3"> </font></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><font face="Times New Roman" size="3"> </font></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><span style="FONT-SIZE: 16pt; FONT-FAMILY: Arial; mso-bidi-font-family: 'Times New Roman'">COMUNICATO STAMPA</span></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><span style="FONT-SIZE: 16pt; FONT-FAMILY: Arial; mso-bidi-font-family: 'Times New Roman'"></span></p> <div class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><span style="FONT-SIZE: 18pt; FONT-FAMILY: Verdana; mso-fareast-font-family: Verdana; mso-bidi-font-family: Verdana"></span> </div> <div class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><span style="FONT-SIZE: 18pt; FONT-FAMILY: Verdana; mso-fareast-font-family: Verdana; mso-bidi-font-family: Verdana">Azione Universitaria e Giovane Italia ( PdL) Firenze manifestano nell'Aeroporto di Fiumicino</span></div> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; TEXT-ALIGN: center" align="center"><span style="FONT-FAMILY: Arial; mso-bidi-font-family: 'Times New Roman'"><font size="3"> </font></span></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; LINE-HEIGHT: 150%; TEXT-ALIGN: justify"><span style="FONT-SIZE: 11pt; COLOR: #333333; LINE-HEIGHT: 150%; FONT-FAMILY: Arial; mso-fareast-font-family: LucidaGrande; mso-bidi-font-family: LucidaGrande"> </span></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; LINE-HEIGHT: 150%; TEXT-ALIGN: left"><span style="FONT-SIZE: 11pt; LINE-HEIGHT: 150%; FONT-FAMILY: Verdana; mso-fareast-font-family: Verdana; mso-bidi-font-family: Verdana">"<b>STOP AL TURISMO PEDOFILO</b> – E SE QUEL BAMBINO FOSSI TU?" con questi slogan alcuni militanti di Giovane Italia Firenze, insieme a rappresentanze di altre città dello stesso movimento, hanno compiuto un blitz presso lo scalo internazionale di Fiumicino distribuendo volantini <b>contro </b>il fenomeno in aumento del<b> turismo pedofilo</b> in molte <b>mete esotiche</b>.</span></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; LINE-HEIGHT: 150%; TEXT-AUTOSPACE: ideograph-numeric; TEXT-ALIGN: left"><span style="FONT-SIZE: 11pt; LINE-HEIGHT: 150%; FONT-FAMILY: Verdana; mso-fareast-font-family: Verdana; mso-bidi-font-family: Verdana">"Un paese che si dichiara civile non può permettere che nel mondo <b>10 milioni di minorenni</b>, adolescenti ed addirittura bambini, siano <b>costretti a trasformarsi in cavie</b> <b>per il piacere di adulti</b>, spesso padri di famiglia o cittadini insospettabili, che pensano di poter soddisfare il proprio desiderio forti di una condizione di ricchezza e dall'impunità garantita da migliaia di chilometri di distanza da casa" dichiarano a margine della manifestazione <b>Giovanni Donzelli</b>, presidente nazionale di Azione Universitaria e consigliere regionale della Toscana e <b>Cosimo Zecchi</b>, dirigente nazionale toscano di Giovane Italia.</span></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; LINE-HEIGHT: 150%; TEXT-AUTOSPACE: ideograph-numeric; TEXT-ALIGN: left"><span style="FONT-SIZE: 11pt; LINE-HEIGHT: 150%; FONT-FAMILY: Verdana; mso-fareast-font-family: Verdana; mso-bidi-font-family: Verdana">" Questo blitz estivo è un'azione simbolica che segna l'inizio di una serie di campagne territoriali e nazionali di Giovane Italia proprio sui diritti civili e contro la pedofilia e la per la difesa dei minori " affermano sempre Zecchi e Donzelli.</span></p> <p class="MsoNormal" style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt; LINE-HEIGHT: 150%; TEXT-AUTOSPACE: ideograph-numeric; TEXT-ALIGN: left"><span style="FONT-SIZE: 11pt; LINE-HEIGHT: 150%; FONT-FAMILY: Verdana; mso-fareast-font-family: Verdana; mso-bidi-font-family: Verdana">" Auspichiamo – aggiunge <b>Matteo Fanelli</b>, dirigente fiorentino del movimento giovanile del PDL<span style="mso-spacerun: yes"> </span>- che tutti i Governi prevedano<b> pene più severe per </b>chiunque si macchi del <b>reato di pedofilia</b> e che molte mete esotiche tornino ad essere dei paradisi terrestri per la bellezza dei propri mari e delle proprie culture millenarie e non più inferni terreni per quei milioni di bambini che oggi sono carne da macello per attirare turisti senza scrupoli"</span></p> SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-23969560891029546722010-08-10T18:07:00.000+02:002010-08-10T18:07:22.127+02:00Berto Ricci: come fummo giovani allora (I Parte)<span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">fonte: </span><a href="http://www.beppeniccolai.org/"><span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">http://www.beppeniccolai.org</span></a><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Berto Ricci è fiorentino, poeta, polemista, matematico, cade a Bir Gandula, Cirenaica, il 2 Febbraio 1941. Aveva 35 anni. In che cosa credeva? Nelle strutture politico-brurocratico-amministrative di cui è fatto uno Stato? Nel Palazzo, si direbbe oggi? Berto Ricci credeva nell’Italia, e per dirla con le parole di Dino Garrone, e che Berto Ricci mise nella sua prefazione alle lettere di Garrone stesso, scomparso anche lui giovanissimo all’età di ventisette anni, l’Italia la vedeva e la sognava così: «l’Italia dura, taciturna, sdegnosa, che portava la sua anima in salvo soffrendo delle contraffazioni, dei manifesti, dei ciarlatani, dei buffoni, dei letterati, dei commendatori. L’Italia che ci fa spesso bestemmiare perché la vorremmo più rigida, più attenta, più macra: vicino alla perfezione dei santi».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Dell’amico adorato, scrittore e poeta come lui, Berto Ricci tracciò questi lineamenti:</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«Non cercò carriera, non ebbe fini effimeri, non comuni ambizioni. Ebbe vita interiore potente, soverchiante la esteriore pur così varia, popolata di fatti e di figure e accesa di passioni. Soffrì d’ogni menomazione inferta dalla debolezza propria o altrui (…) una coscienza senza sogno (…) un volere il sole, in sé e negli uomini il sole (…) un gioire e un soffrire coi paesi e con le acque, con la gente e i libri, con tutto quello che noi siamo (…) Il rispetto per l’uomo, la sua umiltà dinanzi al fratello ignoto e qualunque,così bella se guardata sullo sfondo della formidabile capacità di disprezzo che era in lui, dicono com’egli fosse alto e solo. Risultava da tutto questo, dall’amore, dal disdegno, dall’ingegno, dalla dominante e assillante pretesa d’assoluto, una magnetica giovinezza, di quelle che fanno esclamare: bella questa moneta nuova, e quanto val più dell’altre usate e tosate. E giovane è rimasto in morte, sull’invecchiare veloce di molti vivi».</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Così Berto Ricci di Dino Garrone.</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Potremmo scrivere: «così Berto Ricci di Berto Ricci».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La prefazione alle lettere di Dino Garrone è del ’38, ma Berto Ricci resta una colata di vita:</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«E giovane è rimasto in morte, sull’invecchiare veloce di molti vivi».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Lo potremmo scrivere sulla tomba di Berto. E nessuno meglio di lui, a cui è toccata la sorte di vivere questa scettica e cinica Italia, sa e conosce la verità di quella frase: «e giovane è rimasto in morte sull’invecchiare veloce di molti vivi».</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Berto Ricci fu un’intelligenza viva, libera, sanguigna, spregiudicata, strafottente e spavalda. Il suo foglio "l’Universale" è destinato a restare. Berto Ricci fu carattere, che altro non è che il coraggio civile. Berto Ricci, nel tempo di Mussolini e della sua dittatura, fu faziosamente, come può esserlo un fiorentino, controcorrente, contro, su ogni cosa, il moderatismo, i tecnici del saper vivere e del saper fare. Per dirla con termini della grigia politica di oggi, fu l’antidoroteo, fu l’antimoroteo per eccellenza.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In una sua poesia, "Inno a Roma" del ’33, è detto: «Oh i buoni servi non sono degni di Roma, non gli immoti e i pigri, ma i liberi, gli inquieti, quelli che simili a praterie che inarca il vento delle folli ambizioni».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«Pederasti e ladri», scriverà nel ’31 su "Lo scrittore italiano", «possono esser grandi d’arte, e furono i piccoli cercatori d’applausi, cacciatori di recensioni e di premi, romanzieri stipendiati dal pubblico, no in nessun modo. E se parrà enorme a qualcuno questa mia affermazione, da non poterla digerire, e’ se la sputi. Già ho notato la preminenza dello spirituale sul morale, della divinità sulla onestà: e con questo non vo’ dire che pederasti e ladri sono divini; ma più vicini a Dio, forse, dei frigidi astuti savi e delle canaglie moderate».</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Più vicini a Dio dei frigidi savi e delle canaglie moderate…</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Giugno 1931. Fascismo e Azione Cattolica si fronteggiano. Sono passati due anni dal Concordato. Motivo del contrasto: l’educazione dei giovani. Berto Ricci su "l’Universale" titola: "Il duello col Papa" e trancia questi giudizi:</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«Diciamolo francamente: noi non ci spaventeremmo di un clero macchiato di lussuria, di simonia, di ferocia, quanto ci preoccupa questo esercito d’impiegati in tonaca, irrimediabilmente malati di mal borghese. È nel peccato una grandezza, un principio forse di santità: nell’inerzia dei borghesi e dei mediocri non c’è che buio».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«(…) Venga presto, per il bene della cristianità, un papa gagliardo, rivoluzionario, che sprotestantizzi la Chiesa, spenga la politica e ravvivi...</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">[incomprensibile, coperto dagli applausi]</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">..., lasci alle donnacole le polemichette puntigliose, riporti nel mondo l’alito del Vangelo, riceva sì i pellegrini d’America, ma si mescoli anche alla plebe di Trastevere ed entri il vicario di Cristo nelle case di San Frediano».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">C’è qualcuno nell’Italia democratica e repubblicana, uscita dalla Resistenza, che mi sappia indicare, da qualche parte, un polemista di questa vaglia, polemista, fatene caso, che così si esprimeva negli anni del diavolo del cavalier Benito Mussolini?</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«Questo ci preme, questo vogliamo dire: questo nessuno può smentire, che gli eunuchi, i vili i pigliaschiaffi disonorano il fascismo, che i saggi in cappa magna lo inceppano, i noiosi teorici della tradizione gli fanno perdere tempo, gli adulatori lo avvelenano, i bruti spiritati dal gesto dittatorio e dagli occhi grifagni lo mettono in farsa, e l’Italia del popolo, l’Italia di Basso Porto e di via Toscanella, essa sola lo alimenta di vita, e questo non è classismo, non è bolscevismo, perché non importa essere nati in via Toscanella né starci. Quel che conta è saperci stare».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">È il 12 Aprile 1931: la Spagna è repubblicana. Re Alfonso XIII, l’ultimo dei Borboni, lascia Madrid e prende la via dell’esilio. Su "l’Universale" del Maggio ’31, Berto Ricci scrive:</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«Sommo errore politico, oltre che pessima romanticheria di maniaci del principio monarchico universale, sarebbe fare il broncio alla nuova Spagna repubblicana. Né i dogmi democratici dei successori di re Alfonso possono interessarci gran che: c’interessa la loro politica estera e la posizione del loro paese nel Mare Mediterraneo. Venendo poi a considerare in sé questo sbrigativo, ma atteso, invocato e guadagnato mutamento di regime, non si può dire che la monarchia sia stata molto benemerita di quella nazione. Che fruttarono alla Spagna i suoi secoli di obbedienza e di fedeltà al trono? Una lunga, atona agonia, una dittatura senza genio, un parlamentarismo senza sale, una lenta rovina di commerci e d’imprese. Ogni scossa è santa se giova a scuotere dal sonno e dall’ozio i popoli forti. D’altra parte i ribelli spagnoli hanno mostrato negli ultimi tempi di saper guardare in faccia con abbastanza tranquillità i plotoni d’esecuzione: e un’idea capace di preparare gli uomini alla morte merita vittoria, merita rispetto nell’Italia del comandante Umberto Maddalena». (maggio 1931)</span><br />
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<span style="font-family: Georgia;">[...]</span>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-80179604478698785662010-08-06T01:16:00.000+02:002010-08-06T01:18:06.547+02:00Riprendiamoci (a destra) gli anni '60<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Gli anni Sessanta? È arrivata l'ora del dietrofront. Vanno archiviati. Rimossi. L’offensiva revisionista stavolta parte da sinistra e gli spari già risuonano nel palinsesto televisivo. I primi caduti? La fiction Raccontami, epica pop dei Sessanta. Negli ultimi due anni ha messo a sedere – davanti al piccolo schermo, of course – le famiglie italiane. Eppure, sembra destinata a non sopravvivere alla fine della sua seconda stagione. Malgrado il successo di pubblico e nonostante le proteste. Truppe irregolari di telespettatori si stanno infatti mobilitando: migliaia di mail “marciano” sulla Rai. Un’intifada destinata a soccombere. Perché la decisione sembrerebbe – il condizionale è d’obbligo – presa. La famiglia Ferrucci (i protagonisti della serie in questione) sarà sciolta e i singoli interpreti destinati ad altre imprese televisive.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Prepariamoci pertanto a fare a meno di quest'ultimo romanzone popolare capace di “raccontare”, con piglio più cinematografico che meramente seriale, l’epopea di un paese che si lasciava definitivamente alle spalle il dramma della guerra e si proiettava a tutta velocità in un futuro ricco di cambiamenti e promesse. Non tutte mantenute. Ne sa qualcosa il capofamiglia Luciano Ferrucci. L’esplodere del conflitto l'aveva costretto a interrompere gli studi per poi farsi capocantiere per la ditta di un ex camerata. Potrà prendersi il sospirato diploma da geometra e inventarsi imprenditore ma i guai non mancheranno, né a lui né all’Italia. Un ruolo cucito a misura per il bravissimo Massimo Ghini, attore di sinistra – ci si passi il gioco di parole – poco amato, però, a sinistra. Già. Oggi come ieri c’è poca voglia di leggerezza, da quelle parti. L'ottimismo? Troppo destrorso, retorico. Tutto sommato, un po' berlusconiano. </span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">E a puntare il dito contro «la sinistra snob» è lo stesso Ghini, reo di aver dato il volto – il suo – alla più recente commedia brillante italiana. «Dopo il primo film natalizio – si è sfogato in una intervista rilasciata al Corriere della Sera – sono stato considerato un traditore. Mi hanno persino chiesto se avessi cambiato idee politiche». Aveva due risposte possibili, ha spiegato: «La parolaccia o parliamone. Ho deciso di parlarne». A distanza di qualche giorno, però, il j’accuse di Ghini non ha ricevuto risposta e il futuro della fiction è ancora avvolto nel mistero. La verità – azzardiamo noi – è che qualcuno a sinistra si è forse reso conto che l'epopea degli anni Sessanta non era poi così funzionale alla celebrazione della loro parte politica e culturale. Malgrado Walter Veltroni e il suo immaginario, tutto anni Sessanta. </span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">D'altronde da qualche tempo in giro c'è davvero tanta voglia di anni Sessanta. Ha detto Franco Battiato: «Le canzoni italiane degli anni '60 possedevano malinconia, ispirazione e felicità. Si veniva da una guerra devastante. E pur fra i problemi, c'era gioia di vivere». Non si tratta, quindi, solo del vintage che alimenta un sempre florido merchandising – dal ritorno dei dischi in vinile alle mitiche figurine Panini – ma dello spirito autentico dei Sessanta, recentemente riecheggiato anche nelle parole di Gianfranco Fini e individuato da Angela Merkel come decisivo per lo svilupparsi del boom economico tedesco e del modello di economia sociale di mercato. Tanti i lati positivi. Ne ha elencati alcuni il presidente della Camera nel convegno organizzato dalla fondazione Liberal di Ferdinando Adornato: «L'ottimismo, il desiderio di cambiamento nel costume, la rivolta generazionale e la partecipazione delle donne». Prima del trionfo delle ideologie e del tradimento di quelle speranze. Un’analisi lucida che sottolinea come, solo per l’incapacità della destra politica italiana di allora nell'ascoltare i giovani, si finì con lo spalancare un’autostrada all’egemonia della sinistra lasciando che prevalessero – per usare le parole della cancelliera tedesca – «le frange autoritarie e intolleranti del ’68».</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L'ansia di cambiamento, da allora in poi, è stata raccontata come cosa loro e iscritta nell’immaginario della sinistra. Dai Beatles al Giovane Holden, da Charles Bukowski a Jim Morrison, ma anche Kennedy e Papa Giovanni, non c’è icona d’importazione che sia sfuggita a questa gigantesca mistificazione. Un equivoco colossale su cui nel corso degli anni si è sedimentata una memorialistica a senso unico. Un’appropriazione indebita che ha finito per trasformare una memoria condivisa nel patrimonio esclusivo di una sinistra immaginaria.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tutto nasce con il libro, indubbiamente bello, Il sogno degli anni ’60 (edito da Savelli nel 1981) di Walter Veltroni, già allora abilissimo a confondere passioni private e generazionalmente trasversali con un’eredità politica di tutt’altra natura e storia. L’allora ventiseienne consigliere comunale – eletto a Roma nella lista del PCI – raccoglieva il ricordo di 46 ex giovani: da Renzo Arbore a Francesco Guccini, da Lucio Dalla a Gianni Borgna. Scriveva Veltroni: «Gli anni Sessanta sono stati un decennio di grande movimento, di rottura delle assolute certezze, della rigida immobilità dei Cinquanta. Un grande ribollire di stimoli culturali, di suggestioni politiche, di riferimenti letterari veramente nuovi... L’intreccio dell’accesso alla scuola di massa e dell’affermarsi del mezzo televisivo rivoluzionò la grammatica della fantasia di una generazione. Si dilatava la gamma delle conoscenze, si entrava in diretto rapporto con la realtà, si rompeva con il provincialismo un po' cafone dell’italietta anni Cinquanta...». E ancora: «Gli anni Sessanta. Un corsa in spider, una svedese al fianco, uno scherzo all’amico, una cotta improvvisa. Un viaggio, la scoperta di Londra o Parigi, un disco di Yellow Submarine. Un pattino, un ombrellone, un transistor acceso, una partita di pallone al tramonto. Una spiaggia tranquilla, un juke-boxe che suona, un po’ gracchiando, una canzone di Francoise Hardy». Peccato che questo quadretto idilliaco, di lì a qualche anno, venne fatto a pezzi proprio dalla sinistra con la pretesa di dare un segno ideologico a quella genuina ansia di cambiamento. A un vecchio conformismo ne subentrò un altro persino più intollerante che riduceva la rivolta generazionale a una banale questione di look e moschetto. </span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ne sanno qualcosa i protagonisti musicali di quella stagione, coloro che ne hanno determinato la colonna sonora. Uno su tutti: Edoardo Vianello, i cui successi sono stati recentemente raccolti in Replay, un cd la cui copertina è stata affidata a Pablo Echaurren, genio eclettico oltre che vero e proprio fan di Vianello. E le sue canzoni allegre e frizzanti sono state – e continuano a essere, in barba al tempo che passa – il leitmotiv per eccellenza di intere generazioni di italiani, la benzina inesauribile dell’ottimismo contagioso dei Sessanta. Da Pinne fucili e occhiali a Guarda come dondolo, da Abbronzantissima ai mitici Watussi. Ecco, lui e la sua musica negli anni Settanta, il successivo decennio tutto plumbeo e tutto ideologico, venne messo al bando perché – sostenevano – le sue canzoni, in quanto leggere, scanzonate, vitaliste, andavano ritenute non impegnate, quindi superate. Proprio così. Se un cantante esprimeva l'ottimismo dei ragazzi del proprio tempo invece di mettersi al servizio delle cause della sinistra veniva iscritto d’ufficio nel registro dei renitenti. «Abituato com’ero al calore del pubblico ci rimasi malissimo – ci ha raccontato lo scorso giugno, in occasione del suo settantesimo compleanno – ma io intendevo la musica come un fatto di divertimento collettivo e come espressione dello stato d'animo generazionale, non come strumento per fare politica e non sarei mai stato credibile a improvvisarmi cantautore cosiddetto impegnato».</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Analoga l'analisi di Don Backy, protagonista di una originale via italiana al beat e autore di canzoni cult come Poesia e L’immensità che – non a caso – insieme ad altre fanno da colonna sonora a Raccontami. Oltretutto Don Backy, insieme a Ricky Gianco e Detto Mariano, è l'autore del testo della stessa sigla della fiction riarrangiata da Vince Tempera. Ma lo spirito guascone, giovanilistico ed estetico dell’artista toscano era, in quegli anni, ben diverso da quello degli pseudorivoluzionari che affolleranno i cortei nel decennio successivo. «Io avevo ben altro per la testa – ci ha confidato – e Curcio, Capanna, Negri e nipotini vari volevano solamente andare al potere. Il nostro era un essere contro in ogni caso». Da allora la sua principale preoccupazione, come ha scritto nell’ultimo libro – Questa è la storia… Memorie di un juke box (Coniglio Editore, pp. 256, € 29, 50) – è di far sopravvivere lo spirito autentico di quegli anni, di salvare le sue canzoni dalla marea ideologica che montava a sinistra. «Le sue canzoni non ne furono contagiate – scrive in terza persona – la creatività non doveva essere gettata all’ammasso, circoscritta e in ostaggio di aggettivi: impegnata, di contestazione, di protesta o di convenienze e anticonformismi di maniera». E probabilmente per la schiettezza delle sue dichiarazioni Don Backy ancora oggi viene sistematicamente ignorato da un certo circuito mediatico. «Quando non si è allineati non si esiste per i salotti e gli ambienti che contano. Va avanti solo chi è omologato, chi ha le idee in linea». Per lui quasi nessun invito in tv. Neanche a trasmissioni dedicate alla musica degli anni ’60-’70 come Canzonissime, Ti lascio una canzone o I raccomandati. Figuriamoci il Festival di Sanremo, cui si è recentemente proposto per vedersi sbattere la porta in faccia da Pippo Baudo.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Intendiamoci, a ricevere tale trattamento non furono soltanto i cantanti ma tutti gli artisti che non vollero farsi allinearsi. Basti pensare a Franco e Ciccio, definiti dall’indimenticato Giuseppe Moccia, in arte Pipolo, «i rappresentanti per eccellenza dell’Italia prorompente, vitale e con voglia di fare degli anni Sessanta». La loro comicità schietta e contagiosa richiamava nelle sale adulti, ragazzi e bambini. Eppure la critica ideologizzata continuerà a considerarli poco più che fenomeni da baraccone. Tra le poche voci controcorrente, quella di Valerio Caprara: «Inutile aggiungere che meno amavo le isterie gauchistes (che, pure, hanno preso il potere nel campo dei sacerdoti della critica) più simpatizzavo con la morfologia artistica di Franchi e Ingrassia, la cui docta ignorantia mi sembrava di gran lunga più lucida della ignoranza tout court dei lanzichenecchi rossi e rosa di Cinecittà e dintorni. Il cinema ‘nobile’ era costituito, per costoro, da alcuni ignobili sottoprodotti gabellati per ‘ideologici’ e progressivi. Per fortuna il popolo (quello vero, quello che si esalta al Mundial e prende a pomodorate le reprimende dei sociologi) invertiva puntualmente i canoni del sotterraneo Minculpop e premiava gli sforzi autarchici, generosi, fisici dei due attori in barba agli appelli auto-mortificanti dei pretini sub-marxiani».</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Comunque, ultimamente, sugli anni Sessanta – finalmente letti senza le lenti deformanti dell’ideologia – sono arrivati in libreria due saggi che meritano tutta l’attenzione possibile: il primo è Boom. Storia di quelli che hanno fatto il ’68 (Rizzoli, pp. 255, € 16,50) del sociologo Fausto Colombo e rompe un tabù: che a raccontare i Sessanta debbano necessariamente essere i militanti ideologici del decennio successivo. Perché esserselo perso è imperdonabile, anche per chi è nato troppo presto o troppo tardi. E Colombo, cinquantenne studioso dei media e docente all’università Cattolica di Milano, si prende la briga di affrontare con una scrittura godibile e ricca di aneddoti la storia dei baby boomers, un popolo di neonati che ha compiuto o sta per compiere cinquant’anni, dieci milioni di piccoli italiani che in quegli anni Sessanta reali cresceranno in case fornite di frigorifero, lavatrice e tv, imparando che dopo Carosello si va a nanna e che un giornalino e una partita di calcio possono fare la storia. </span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Già, il grande calcio che proprio in quegli anni diventa un fenomeno planetario e nel nostro Paese è passione diffusa, agisce da contagio e si fa moda, costume, immaginario condiviso. Ed ecco il secondo saggio, del milanese Marco Innocenti: Quando il calcio ci piaceva più delle ragazze (Mursia, pp. 240, € 18,00). È quanto accadeva negli anni Sessanta, perché i ragazzi studiavano, contestavano, s’innamoravano, ballavano, ma soprattutto impazzivano per lo sport nazionale e declamavano le formazioni delle squadre amate come versi di una poesia. E infatti il libro di Innocenti – giornalista del Sole 24 Ore e autore di altre pubblicazioni tra cui Sognando Meazza. Come eravamo negli anni Trenta (Mursia, 2006) – prima ancora che essere un omaggio al calcio, racconta meglio di qualsiasi testo sociologico la società italiana di quel decennio attraverso i miti e i riti sportivi che hanno segnato una generazione molto più dell'ideologia, spesso postuma. Fortunatamente. Leggiamo, quindi, quelle pagine e torniamo a riprenderci i nostri - e veri - anni Sessanta.</span><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Fonte: http://robertoalfattiappetiti.blogspot.com/2009/01/riprendiamoci-destra-gli-anni-60.html</span></em>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-66100693334573895552010-08-05T01:29:00.000+02:002010-08-05T01:29:26.425+02:00TINTO BRASS TORNA ALL'ORIGINE DU MONDE<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">tratto da: </span></em><a href="http://www.nocturno.it/"><em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">www.nocturno.it</span></em></a><em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> (rivista cinematografica) - di Manlio Gomarasca</span></em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tinto Brass ci parla del suo corto, Hotel Courbet, presentato all'ultima Mostra del Cinema di Venezia...</span></em><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Non troppo tempo fa su Nocturno abbiamo dato notizia del tuo ultimo cortometraggio, Kick the Cock, presentato a Venezia Off. Oggi siamo qui per presentare un altro tuo corto, Hotel Courbet, realizzato questa volta per Sky… </span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come dice il titolo stesso è un omaggio a Gustave Courbet e al suo L’origine du monde. L’ho fatto per il canale Fox di Sky. È come sempre all’apparenza una cosa senza senso e invece io lo trovo molto gratificante e molto bello. È la storia di una ragazza con delle manie compulsive, compra cose... che rievoca una torrida avventura parigina con un ragazzo francese in questo Hotel Courbet sotto l’impronta del famoso quadro.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">C’è anche un omaggio molto bello a La camera azzurra di Simenon, con lei a gambe aperte e un filo di sperma che le esce dalla fica e la mosca che le si appoggia sopra. Ho fatto delle foto grandiose, sono quelle che ti ho mandato, impubblicabili per altri che non siano Nocturno…</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Comunque, la storia col francese finisce male, lui la molla, le dice di tornare in Italia e lei rimane sola in questa stanza piena di ricordi che erano stati suggeriti dal fatto che lei si provava i vestiti di fronte alla toilette, mettendosi la crema detergente sul viso, e pian piano trasformandosi in una specie di Pierrot, di clown. Sfinita, si butta sul letto, culo per aria e faccia sotto, ed entra un ladro. Il ladro si aggira in questa stanza, ruba delle cose e poi si accorge di questo bellissimo culo sul letto. Per un attimo è indeciso e si dice: «cosa faccio? Rubare o violare?». Preferisce rubare. Però casca un gioiello e lei, sentendo il rumore, si sveglia dal torpore e comincia a masturbarsi per scacciare il magone erotico che aveva… Una bellissima masturbazione consumata sotto gli occhi del ladro nascosto. Il ladro scappa, ma tra le cose che ha rubato c’è pure una fotografia della ragazza nuda in una cornice d’argento. Tentato da quest’ immagine torna indietro e suona il campanello. Appare la ragazza con una bella vestaglia rossa, la stessa che aveva nella fotografia, e lui le dice una battuta in stile scespiriano: «la bellezza tenta il ladro più dell’oro», un po’ alla “As you like it” – “Come vi pare”. Ma lei sorridendo gli prende il sigaro, se lo mette in bocca, e dice: «Ma non si può rubare», e se ne va. Poi appaio io in fondo alla macchina da presa e dico una battuta di Picasso a proposito del quadro di Courbet: «L’arte non è mai casta; se lo è non è arte!». </span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Parliamo degli attori…</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La ragazza è Caterina Varzi, la protagonista che avevo scelto per Ziva, il prossimo film che voglio fare e di cui ti ho già parlato nella precedente intervista. Una vera rivelazione, non tanto per il corpo ma per l’intensità – per dirla come dicono i francesi – tragedienne, che sta a significare non la tragedia ma proprio lo sguardo intenso, difficile da reggere. Nella parte dell’amante francese, invece, ho inserito una chicca scandalosa, suo fratello Vincenzo Varzi, e poi un certo Alberto Petrolini, che fa il ladro ed è un playboy notturno, un giocatore di poker di Parma che conoscevo da anni.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">E dove l’hai girato?</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’ho girato a Bassano Romano. La stanza della ragazza che si spoglia, si rimette i vestiti e si masturba, in una bella villa di Bassano, mentre in teatro ho ricostruito la camera azzurra con la scritta fuori dalla finestra “Hotel Courbet”.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Quindi dovrebbe rientrare in un progetto di Sky?</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Che si chiama “Il favoloso mondo di Tinto Brass”; l’immagine è il culo di una donna con impresso il mappamondo. Questo è il pilot della serie che dovrebbe essere composta da sei o dodici episodi diretti tutti da me. Ce ne sono alcuni bellissimi, uno che riguarda D’Annunzio, la vigilia della partenza per Fiume, quando aspetta questa sua fan che deve venirlo a trovare. Hotel Courbet lo voglio mandare anche a Cannes nella sezione dei corti ma devo ridurlo a 15’.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come ti trovi all’interno della dimensione del cortometraggio?</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Bene, mi diverto molto a farli. Apparentemente sono cose senza senso, invece queste antologie ti permettono di sperimentare molto di più di quando fai un film, perché non sei legato ad un unico discorso di un’ora e mezza, puoi provare una cosa, cambiarla, e poi possono essere raccolte in antologia. Volendo possono diventare film a episodi da pubblicare in DVD. Poi, adesso, nell’impossibilità di girare un film come vorrei, da Ziva o Vertigini, un film sull’eutanasia che in questo momento sarebbe attualissimo dopo tutte le puttanate che abbiamo sentito a proposito di Eluana. Hai visto cosa ha fatto Vanessa Redgrave? Due giorni dopo che la figlia aveva battuto la testa è andata in America e ha staccato la spina. Queste sono cose dignitose, umane, non queste chiacchiere che riempiono i televisori e basta! Quando studiavo si parlava di quello che era importante: Virgilio e la pietas. La “pietas” dei latini non sanno più che cos’è, questa stava in coma da sette anni, ma la pietas per questa persona, cazzo, dove la mettiamo?</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Che fine ha fatto il progetto DNA?</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il progetto è sempre quello che avete pubblicato su Nocturno nel Dossier a me dedicato. Ora lo voglio fare con Franco Branciaroli a teatro. In scena ci sono solo tre personaggi. C’è T che è rinchiuso in manicomio e vive una vita immaginaria più reale della vita vera attraverso l’esercizio costante della masturbazione. Questo si masturba, e masturbandosi evade dalla sua condizione di recluso in manicomio, dalla logica, dalle regole e dalla morale. Gli altri personaggi sono la Donna, che rientra in tutte le sue epifanie: la puttana, la crocerossina, la suora ecc., e che in realtà è la madre. Tutte figure interpretate da un’unica attrice. E poi c’è il direttore del manicomio, nonché il padre che vorrei fare interpretare a un nano. La figura del nano è una figura alla quale sono molto legato e ho spesso usato nei miei film, perché è l’elemento surrealista per eccellenza, magico e al di fuori degli schemi.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Quando vorresti rappresentarla?</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Inizialmente si trattava di fare un teatro cinetico, visto che ci troviamo in un periodo di futuristi, con delle scene in teatro, che sono tutte quelle della cella e del manicomio, e tutte le “epifanie” da girare a parte in HD e poi proiettarle su una retina che cali sul proscenio. Il progetto lo avevo presentato a Spoleto. Gli avrei portato Branciaroli, il più grande attore teatrale, ma questi stronzi sono andati a prendere Woody Allen per fare una cagata che hanno pagato a peso d’oro… Poi dicono che non hanno più soldi. Ma come? Vi porto uno spettacolo molto interessante con Franco Branciaroli, un omaggio al futurismo… era un evento vero. Ma andate a cagare! Allora sto cercando di farlo direttamente per il DVD senza il teatro. Del resto ormai in tutto il mondo i fatturati veri arrivano dall’home video. La sala non esiste più. </span>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-80467233587945206192010-08-04T22:20:00.000+02:002010-08-04T22:20:02.658+02:00<a href="http://www.youtube.com/watch?v=c_AZ8B_UhcM">http://www.youtube.com/watch?v=c_AZ8B_UhcM</a>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-60866773551392005642010-08-04T22:16:00.000+02:002010-08-04T22:16:25.929+02:00Ecce Homo: Gianfranco Fini. Ascesa e declino di un tartufo<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><em>Articolo tratto da Heliodromos n. 22</em></span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Diversi ambienti della destra politica ma non soltanto questi, dato che i comportamenti “evolutivi” hanno assunto aspetti paradossalmente scandalosi, sono rimasti perplessi e amareggiati per i disinvolti riposizionamenti politici di Gianfranco Fini. Tanti generosi militanti d’ogni età hanno rivissuto le disillusioni, che notoriamente i politici del nostro tempo danno a quanti mal pongono fiducia e attese per un autentico rinnovamento di questo nostro paese. Nel caso di Fini bisognava possedere una buona dose d’ingenuità, per aspettarsi mete ideali da chi, per naturale inclinazione, ha sempre seguito, e inseguito, eventi politici e personali concordanti esclusivamente con i suoi limiti culturali e la sua sfrenata ambizione. Sotto quest’aspetto, quello che differenzia Fini da un rozzo avventuriero della politica come Antonio Di Pietro è il modo felpato e circospetto delle sue scelte. Ripercorrendo alcune delle tappe più indicative della sua fortunata ascesa politica, è difficile ritrovare suoi personali contributi di originalità e spessore politico, il suo successo lo ha costruito con cauta scaltrezza seguendo le orme di personaggi politicamente molto più dotati di lui. Con il sostegno di Almirante, malgrado Fini fosse per consensi il quarto degli eletti nella direzione del Fronte della Gioventù, diventa segretario giovanile e, in seguito, erede designatoalla segreteria del M.S.I. La svolta politica realizzatesi con il passaggio del M.S.I. in A.N. è stata culturalmente concepita dal prof. Fisichella e politicamente e organicamente realizzata da Giuseppe Tatarella; Fini ne divenne il segretario perché, essendo culturalmente neutro, come ebbe a dire lo stesso Tatarella (cfr. Heliodromos N. 17), sembrò la persona tollerabile dalle diverse anime culturali confluite nel nuovo partito; al seguito e sulle orme di Berlusconi, infine, realizza il massimo della sua scalata politica, diventando nel 2001 vicepresidente del Consiglio dei Ministri e ministro degli Esteri e poi ancora, con le ultime elezioni del 2008, sempre al seguito di Berlusconi, presidente della Camera dei deputati. Anche le sue vicende personali non brillano per trasparenza e lealtà. Daniela Di Sotto, la sua prima moglie, ha dichiarato di aver subito l’umiliazione di apprendere dai giornali la decisione di Fini di avviare un nuovo rapporto con l’attuale compagna. Sergio Mariani, il primo marito di Daniela, in una intervista , insieme ad una serie di penose vicissitudini che lo indussero a tentare il suicidio, dice: “Vivevamo insieme sotto lo stesso tetto, ma Daniela e Gianfranco avevano cominciato una relazione clandestina nella casa di una dipendente del Secolo”, … “Se Daniela quando eravamo ancora sposati si è innamorata di Fini non ha nessuna colpa, il sentimento non si può gestire. Il problema non sta nel tradimento dell’amore, ma nell’errore di Fini: il tradimento dell’amicizia, di un vincolo di comunità”.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Considerando nell’insieme l’ascesa politica di Fini e le modalità con cui si sono svolte le sue vicende personali, ci viene da pensare ad una delle commedie più ardite di Molière, nella quale l’autore con vigore esprime la reazione di una visione sana ed equilibrata della vita contro ogni deformazione ipocrita e interessata. Il commediografo francese, con un abile gioco linguistico fra la sua lingua e quella italiana, intitola questa sua commedia Tartufe, il nome che noi diamo al tubero che cresce sotterraneo, sotto intendendo però che questo parassita nella sua lingua è indicato con il termine Truffe, che, a sua volta, foneticamente rimanda al senso fortemente negativo che ha nella lingua italiana. Com’è noto Molière in questa sua commedia ci traccia la figura di un essere che con fare compunto e servizievole riesce a farsi accettare da una famiglia perbene, a divenire il consigliere ascoltato, finché con le sue arti fa diseredare il figlio, si fa promettere dal suo protettore la figlia e la dote, e poi tenta di fare arrestare quello stesso a cui tutto deve. È l’immagine universale dell’impostore senza scrupoli, che maschera con arte il suo cinismo. In realtà il comportamento di Tartufo si rispecchia molto nel comportamento di Fini all’interno d’AN e nel rapporto con Berlusconi. Dopo la morte di Tatarella, l’unico fra i maggiori dirigenti di quel partito che potesse tenerlo in soggezione, conoscendone i limiti e i vizi, Fini inizia a sfogliare come un carciofo AN da tutti quelli che per qualità personali e senso d’autonoma dignità potessero tenerlo in ombra. Il primo a soccombere è lo stesso cofondatore d’AN, il prof. Fisichella, il quale abbandona il partito non sentendosi sostenuto, avendone i titoli culturali, nelle sue legittime aspirazioni istituzionali che invece Fini, con l’indispensabile sostegno di Berlusconi, rimette a se stesso.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Utilizzando in maniera cinica e consueta questo metodo di mettere all’angolo per costringere a lasciare, e sbarrando senza preavviso e d’autorità le candidature degli uomini di maggiore rilievo politico e consenso elettorale, egli ha disboscato il partito dalle migliori risorse umane, solo in Sicilia, fra i tanti, il senatore Vito Cusimano, l’on Enzo Trantino, l’on. Enzo Fragalà, l’on. Nello Musumeci; sono veramente tante le persone con alle spalle una lunga storia d’impegno e di servizio ideale che sono stati emarginati da Fini, perché ingombranti rispetto alla sua pochezza politica e alla sua sfrenata ambizione. Ha colto nel segno quel nobiluomo del prof. Silverio Bacci, quando lo ha definito: “un piazzista falso ed intrigante dentro il nostro mondo… uomo senza anima”. (Orientamenti, n. 1-2. a. VI, Roma 2003).</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Eliminati dal partito gli arbusti, sono rimasti i cespugli, gente senza alcun merito, uomini cavi e servizievoli, come Urso e Ronchi; questo ultimo difatti ha toccato il ridicolo dichiarando: “Lealtà e onestà intellettuale sono il dato caratteriale di Gianfranco Fini” (Il Giornale, 14 aprile 2010). Completano le forze finiane le tre marie, Carmelo Briguglio, Italo Bocchino e Fabio Granata, i quali, posti politicamente da lui in posizioni molto sopra delle loro reali capacità, rappresentano nello stesso tempo la forza apparente e la debolezza reale di Fini; Fabio Granata, addirittura, preso dalle vertigini per le posizioni raggiunte sotto la protezione di Fini, ha perso il senso del limite, tanto da anticipare una sua “eventuale” candidatura a governatore della Sicilia (sic!).</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Dal neofascismo al neo-antifascismo</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La società moderna è caratterizzata da una innegabile chiusura individualistica ed egocentrica, e da un’insensata spinta al cambiamento, che spesso pone le persone che lavorano a inumane leggi di mercato, facendole trasmigrare da un’attività lavorativa all’altra, con conseguenze non semplici di adattamento psicologico e tecnico, superabili solo in forza della necessità di sopravvivenza. Ebbene – ci chiediamo -, se nel passaggio da un impiego lavorativo all’altro s’incontrano sofferenze e disagi, pur trattandosi di aggiornare competenze operative e atteggiamenti mentali, com’è possibile modificare radicalmente idee costruite in conformità ad una visione della vita e del mondo, elaborate negli anni mediante studi, riflessioni ed esperienze culturali che coinvolgono gli aspetti più intimi dell’essere? In questo mondo moderno senza fede e principi, non ci stupiamo se si assiste addirittura a tentativi di “nobilitare” la labilità e superficialità del più ignobile trasformismo culturale e politico. Per esempio, l’ex comunista Giuliano Ferrara ha giustificato le sue attuali posizioni liberali dicendo: “Solo gli imbecilli non cambiano idea”; a lui si potrebbe rispondere con un più saggio detto orientale: “Niente di più stupido di un uomo intelligente”, ma preferiamo essere meno sbrigativi. Egli da razionalista qual è, non si rende conto dell’irrazionalità della sua proposizione giustificativa; un razionalista intelligente dovrebbe avere idee così razionalmente fondate da non consentirgli ripensamenti, oppure è così imbecille da non sapere elaborare i processi cognitivi in maniera “chiara e distinta” come gli suggerisce il suo Cartesio. Nel caso di Fini abbiamo assistito ad un trasformismo tanto spudorato quanto ottuso, e per lui, in fondo, com’è già evidente, la causa del suo inarrestabile declino. Già Craxi, il quale si era reso ben conto che il cosiddetto arco costituzionale era un artificio politico del P.C.I. avviò una prima fase dello sdoganamento del M.S.I. Fini, seguendo la sua congenita attitudine all’ingratitudine mista alla sua pochezza politica, gli diede il ben servito e assecondò demagogicamente il giustizialismo di “mani pulite”, incapace di capire chi politicamente n’avrebbe tratto profitto. Nonostante la sua miopia politica, Fini ebbe la fortuna della discesa in campo di Silvio Berlusconi che completò il processo di sdoganamento e lo fece, conseguentemente, crescere elettoralmente. Mentre maturava, finalmente, una duplice legittimazione politico- culturale, in virtù di vari studi, come quelli di Renzo De Felice e della sua scuola e di onesti lavori revisionisti come, fra i tanti, quelli di Gianpaolo Pansa, cioè, mentre si indeboliva l’antifascismo ideologico e strumentale, per avere spazio nel dibattito culturale un più attento, sebbene critico, giudizio storico sul fascismo, Fini nel novembre 2003, dopo quattro anni di sollecitazioni nell’anticamera, compie il suo viaggio in Israele. Da lì, passando compiaciuto sotto le forche caudine dell’estremismo sionista di Sharon, apre con le sue indecorose e vili dichiarazioni la fase di rifondazione di un neo antifascismo ancora più immotivato e acido del precedente. Per lui si può ben citare, e qui lo facciamo opportunamente, Ezra Pound: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui”. L’affermazione secondo la quale la R.S.I. è da includere nelle “pagine vergognose della storia”, non solo, resterà per sempre il suo marchio squalificante, ma la più ignobile delle espressioni verso i combattenti e i tanti giovani che con il loro estremo sacrificio riscattarono l’onore di questa italietta.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ci sono vari aspetti del fascismo che vanno rivisti alla luce di un giudizio serio e severo, ma la R.S.I. resta l’evento più indicativo, più doloroso e nello stesso tempo più fulgido della nostra storia; senza il riscatto dell’onore, l’ombra dell’infamia e del tradimento avrebbe accompagnato gli italiani che antepongono la dignità all’opportunità. Francesco Cossiga, che certo non è privo d’esperienza politica e di fiuto per le “qualità” umane, dice di Fini che “non potrebbe amministrare neppure un condominio di quattro appartamenti” e poi precisa: “È il preferito dal centrosinistra per come si è schierato sul caso Englaro, se non si è circonciso, mentalmente lo è, manca solo che si iscriva all’Associazione partigiani” (Ansa 11/03/2009). Una verifica di questa circoncisione mentale l’abbiamo avuta appena qualche mese addietro, quando Fini ha dichiarato, con l’entusiasmo del neofita, che bisogna perseguire non soltanto l’antisemitismo ma anche l’antisionismo, perché dietro di esso si cela il pregiudizio razziale. Anche qui riemerge la sua povertà culturale. Fini evidentemente non conosce le posizioni di moltissimi ebrei ortodossi, i quali sono in prima linea nel sostenere quanto il sionismo contribuisca ad alimentare l’antiebraismo. Purtroppo con Fini siamo di fronte a un essere non solo senza cultura e senza anima, ma anche arrogante, invidioso, vendicativo e opportunista. È proprio vero che ciò che un essere è potenzialmente alla nascita, egli continuerà ad essere lungo il corso della sua esistenza individuale; ognuno secondo la propria natura. Sono queste convinzioni che ci fanno auspicare un suo declino politico, perché abbiamo ben chiaro che un essere di tal specie nocerebbe al Paese e alle istituzioni, come ha nuociuto al partito e agli uomini che lo avevano accolto. Ritornando all’immagine di Tartufo, non possiamo non completarla con un adagio assai esplicito: “Nell’oscurità, il pidocchio è peggio di una tigre”, ma alla luce del giorno – aggiungiamo noi – un pidocchio è solo un pidocchio.</span>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-89014542867743826882010-08-04T22:05:00.000+02:002010-08-04T22:05:34.262+02:00Colonialismo in noir, torna il maggiore Morosini, creatura letteraria di Giorgio Ballario <span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Torna, a grande richiesta, l’epopea coloniale in tinta noir. E il quarantenne Aldo Morosini, maggiore dei carabinieri in servizio nell’Eritrea italiana, si appresta a una seconda indagine. La creatura letteraria del torinese Giorgio Ballario non avrà raggiunto la popolarità di un “collega” celebrato come il commissario Montalbano ma si è già conquistata – a colpi di passaparola – una folta e appassionata schiera di lettori. Se nel romanzo d’esordio, Morire è un attimo (Angolo Manzoni, 2008) – tra i libri più votati dalla giuria popolare nell’ultima edizione del premio Scerbanenco – ha risolto brillantemente un caso di duplice omicidio a Massaua, delitti sbrigativamente addebitati agli agenti del Negus, in Una donna di troppo (la cui uscita è prevista ad aprile, sempre per la piccola casa editrice piemontese) Morosini sarà chiamato a Mogadiscio per misurarsi con morti altrettanto misteriose che rendono ancora più pesante il clima di avvicinamento all’offensiva militare nei confronti dell’Abissinia. Sì, perché il nuovo romanzo è ambientato nell’estate del 1935, appena pochi mesi dopo rispetto al precedente e nell’imminenza dello scoppio delle ostilità. Ed ecco che tra i personaggi spunta colui che guiderà le operazioni militari, Rodolfo Graziani, tanto inviso alle alte sfere militari quanto apprezzato dal duce. </span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Sarà lo stesso Benito Mussolini a scrivere di proprio pugno la prefazione di Fronte Sud, l’autobiografia di Rodolfo Graziani (Mondadori, 1938), “bestseller” dell’epoca utilizzato dall’autore come preziosa fonte documentale. </span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Pur trattandosi di un’opera di fantasia, infatti, la narrazione è sapientemente intrecciata con le vicende storiche e l’ambientazione risulta impeccabile. Il porto di Massaua, solitamente indolente e sonnacchioso, brulicante di nuovi arrivi. I commerci che si intensificano. La vita che si anima con spettacoli, riviste e concerti direttamente provenienti dai cartelloni dei teatri italiani. Il microambiente familiare che si ricrea in terra eritrea: il cinema Impero, l’albergo Savoia, il ristorante Mario, i piccoli caffè di piazza Garibaldi – non a caso i garibaldini votarono a favore della guerra – le case di tolleranza gestite da maitresses italiane e i bordelli indigeni. </span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Sembra quasi di essersi. Insieme a Morosini attraversiamo l’infernale deserto della Dancalia, i rigogliosi altopiani di Cheren e Asmara, l’antica città di Adùli, la capitale, uno dei centri più all’avanguardia dell’intera Africa con le sue strade vivaci, le ville eleganti e i nuovi quartieri in costruzione che sostituiscono le baracche in legno e lamiera. Una città trasformata in un enorme cantiere. Uno sviluppo urbanistico che investe l’intera regione e che è stato conservato con cura negli anni a seguire. «Si costruivano strade e ponti, si ampliavano le linee ferroviarie, si attrezzavano i vecchi porticcioli sul mar Rosso. Interi villaggi – racconta Ballario nell’opera prima – venivano su dall’oggi al domani. C’era del vero nella propaganda del Duce».</span><br />
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<div><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> </span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tanti connazionali, nati e cresciuti nell’Africa italiana, intervenuti alle presentazioni di Morire è un attimo a Roma, Firenze, Milano e Torino, hanno testimoniato la bontà della ricostruzione dell’autore. Senza velleità revisionistiche, Ballario – classe ’64, collaboratore negli anni Ottanta di Diorama Letterario ed Elementi, poi redattore a L’Indipendente e al Borghese e attualmente in forza alla Stampa – demolisce i tanti luoghi comuni che rappresentano il nostro colonialismo come straccione, predatorio e razzista e contribuisce a far conoscere un’esperienza che appartiene a pieno titolo alla nostra memoria collettiva, eppure studiata poco e male nelle scuole, dimenticata, per non dire rimossa, dalla cultura nazionale, dalla letteratura come dal cinema. </span></div><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"></span><br />
<div><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> U</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">n vero peccato, perché attraverso romanzi e film sarebbe stato senz’altro più facile raccontare un fenomeno che ha avuto una forte valenza sociale, trattandosi di una grande emigrazione di persone che in Italia non avevano neanche visto il mare e improvvisamente si trovavano catapultati in una realtà sconosciuta. Migliaia di italiani inebriati dalla suggestione di una nuova vita: una pagina bianca da scrivere o il necessario completamento di quella scritta in patria. Un’umanità variopinta descritta mirabilmente da Ballario in Morire è un attimo: «Giovani di belle speranze, padri di famiglia in cerca di un salario migliore, impiegati pubblici desiderosi di far carriera, militari ambiziosi o in punizione, commercianti dinamici e mercanti senza scrupoli, industriali geniali o con gli amici giusti a Roma, missionari coraggiosi e pretini incapaci, spediti a farsi le ossa in Africa. E ancora avventurieri di ogni risma, sognatori romantici, universitari dei Guf sbarcati in Eritrea per rifondare l’Impero, facinorosi alla ricerca di un sistema legale per menare le mani, idealisti e donne di facili costumi, ragazze di buona famiglia in cerca di marito e papponi, teorici dell’uomo nuovo fascista e insegnanti precari alla caccia di una qualsiasi cattedra».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> </span></div><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Morosini non appartiene a nessuna di queste categorie in particolare. Non è stata l’ambizione a portarlo nel continente nero, né un accentuato spirito di avventura. Non è il colonialista becero animato da spirito “civilizzatore”, né tantomeno un supereroe. È una persona normale che cerca di fare il suo dovere ma ben lontano dallo stereotipo dell’ufficiale tutto d’un pezzo. Al contrario, vacilla di fronte all’improvvisa comparizione di una sua ex fiamma, l’attrice Virginia Mariani in tournée nell’Africa italiana, e cerca risposte nel De brevitate vitae di Seneca. Fa suo l’invito del filosofo latino a non perdere tempo, a non correre il rischio di sprecare la vita nel lusso e nell’indifferenza. Perché – come recita il titolo del libro – morire è un attimo e bisogna farsi trovare pronti. «Come puoi ritenere che abbia molto navigato uno che una violenta tempesta ha sorpreso fuori dal porto e lo ha sbattuto di qua e di là, e lo ha fatto girare in tondo entro lo stesso spazio, in balia di venti che soffiano da direzioni opposte? Non ha navigato molto, ma è stato sballottato molto».</span><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"> </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Accanto a lui, nel primo come nel secondo romanzo, due personaggi altrettanto importanti: il fedele sottoufficiale Barbagallo e Tesfaghì, lo sciumbasci, il graduato delle truppe indigene. Un ruolo, quello degli Zaptiè, sin troppo trascurato dalla storiografia ufficiale. Eppure il loro attaccamento alla bandiera italiana è spesso e volentieri maggiore di quello degli italiani stessi. «Signor maggiore – spiega Tesfaghì – io non istruito e non capire molto di quello che voi bianchi chiamare politica. Io capire solo cose concrete, di tutti i giorni. Da molti anni io soldato del re d’Italia, come già mio padre. Ricevo buona paga e sono rispettato. Mia moglie compra mangiare tutti giorni e figli piccolini vanno a scuola e ricevere buon vaccino per malattie. Una volta non così. E pure adesso, per popoli vicini, non così. Se io nascevo più in là, in regno Negus, forse adesso schiavo di ras e i miei figli morire di fame». Una considerazione quanto mai attuale.</span><br />
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<div> </div>fonte: <a href="http://robertoalfattiappetiti.blogspot.com/">http://robertoalfattiappetiti.blogspot.com/</a>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-45420025288248175382010-08-04T19:29:00.000+02:002010-08-04T19:30:31.472+02:00Cultura&Spettacolo - Summer Jamboree<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhx0AlqGed3zeBkXvLlV6FxuwTKwSFP-K5jOKzqgluaThzjmE9DiJjBXiL7kVfTC2T0hVQIP0LnZnmj69UrUdoNL1M-y0FXktBcVYQcxYjpoPsCoh1CqCtvf6WB8e9GVvhhozngyYFnsQ/s1600/SJ_2010.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" bx="true" height="262" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhx0AlqGed3zeBkXvLlV6FxuwTKwSFP-K5jOKzqgluaThzjmE9DiJjBXiL7kVfTC2T0hVQIP0LnZnmj69UrUdoNL1M-y0FXktBcVYQcxYjpoPsCoh1CqCtvf6WB8e9GVvhhozngyYFnsQ/s400/SJ_2010.jpg" width="400" /></a></div>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-91230697775874875552010-08-04T15:49:00.000+02:002010-08-04T15:49:32.294+02:00Cultura - A chi Mazzini? A noi!<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Mai, come durante il Fascismo, nell’Italia post-unitaria, venne celebrata la figura di Giuseppe Mazzini. Caduto il regime mussoliniano, il ricordo del patriota tornò a far bella mostra di sé, fra le pagine ingiallite dei manuali scolastici; evidentemente, il patriottismo, non solo era estraneo alla neo-nata repubblica italiana, ma si prestava anche a pericolose collusioni con quella che era stata la cultura politica del ventennio.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La tradizione risorgimentale si protrarrà per tutti gli anni del regime fascista e rivivrà, idealmente, durante l’epopea della Repubblica Sociale. Fra i primi ad ufficializzare l’ascendenza mazziniana del Fascismo, Giovanni Gentile che , ne Il Manifesto degli intellettuali fascisti, scrisse: «ma non era neanche lo Stato, la cui idea aveva potentemente operato nel periodo eroico italiano del nostro Risorgimento, quando lo Stato era sorto dall’opera di ristrette minoranze, forti della forza di una idea alla quale gl’individui si erano in diversi modi piegati e si era fondato col grande programma di fare gli Italiani, dopo aver dato loro l’indipendenza e l’unità. Contro tale Stato il Fascismo si accampò anch’esso con la forza della sua idea la quale, grazie al fascino che esercita sempre ogni idea religiosa che inviti al sacrificio, attrasse intorno a sé un numero rapidamente crescente di giovani e fu il partito dei giovani (come dopo i moti del ‘31 da analogo bisogno politico e morale era sorta la “Giovane Italia” di Giuseppe Mazzini). Questo partito ebbe anche il suo inno della giovinezza che venne cantato dai fascisti con gioia di cuore esultante! E cominciò a essere, come la “Giovane Italia” mazziniana, la fede di tutti gli Italiani sdegnosi del passato e bramosi del rinnovamento. Fede, come ogni fede che urti contro una realtà costituita da infrangere e fondere nel crogiolo delle nuove energie e ri-plasmare in conformità del nuovo ideale ardente e intransigente». Intransigenza, appunto, ereditata dagli esponenti del sindacalismo, rivoluzionario prima e, non a caso, (mazzinianamente) nazionale poi.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Saranno, infatti, gli uomini provenienti dall’esperienza sindacal-rivoluzionaria, a ri-portare in auge il mito di Mazzini: Angelo Oliviero Olivetti, Sergio Panunzio, Arturo Labriola, Filippo Corridoni, sono stati i più attivi promotori della rinascita risorgimentale. Partendo dal concetto di Risorgimento tradito, i teorici del sindacalismo concepivano la rivoluzione patriottica dell’800, come antesignana del Fascismo e, ancor prima, del sindacalismo interventista di matrice soreliana. In tal senso, utile a comprendere il trait d’union fra Risorgimento e Fascismo, è l’intervento del cantimoriano Roberto Pertici: « ll fascismo era considerato il compimento della rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito: nell’inserimento e nell’integrazione delle masse nello stato nazionale, nella creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal parlamentarismo e lontana dall’affarismo, dal particolarismo, dall’inerzia che avevano caratterizzato l’Italia liberale. » Particolare importanza, all’interno del processo di ri-pensamento mazziniano, fu proprio la mobilitazione delle masse e, quindi, la partecipazione dei citoyens alla vita politica ed economica nazionale. In quest’ottica, si situa tutta la polemica sul corporativismo, soprattutto quello integrale teorizzato dal repubblicano Edmondo Rossoni e ri-preso, poi, da Ugo Spirito. La proposta corporativa di Rossoni, infatti, se non fosse stata stroncata da Confindustria, avrebbe rappresentato la perfetta sintesi fra, il pensiero economico mazziniano e le istanze politiche del nascente regime Fascista. Come ha ben delineato Luca Leonello Rimbotti, l’esito di tale politica avrebbe significato: «togliere dalle mani della borghesia la nazione e lo stesso imperialismo – come ad esempio faceva Corradini » Quindi: « sostituire alle oligarchie del denaro le aristocrazie di comando della politica, attinte dall’intero bacino del popolo. E queste, a differenza di quelle, provenivano da tutto il popolo, erano tutto il popolo, e non soltanto la sua minoranza capitalista o la sua minoranza operaista: l’una e l’altra, se prese isolatamente, ugualmente dedite all’esclusivo calcolo utilitario di classe». Una visione politica, quella di diretta filiazione risorgimentale, nata con Mazzini e sviluppatasi all’interno della tradizione italiana del socialismo non-marxista; non a caso, l’intera struttura economica dell’inter-classismo mazziniano, sarà l’asse portante, seppur con molte varianti, di quella che viene definita la sinistra fascista. Non fu, comunque, solo l’ala sinistra del fascismo, a essere influenzata da tali principi, come ha sottolineato lo storico Pierre Milza, lo stesso Mussolini non era affatto estraneo a tale tradizione, anzi: «egli stesso era il prodotto di una cultura politica che mescolava la tradizione mazziniana e libertaria, fortemente radicata in Romagna, con i principi di un socialismo intransigente».</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Da rilevare, dal punto di vista storiografico, è che la popolarità di Mazzini, durante il periodo fascista, fu dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di Combattimento. Da sempre in conflitto con i socialisti riformisti, i repubblicani iniziarono il loro percorso di avvicinamento a Mussolini, proprio durante le battaglie interventiste; dapprima, sposando la causa dei sindacalisti rivoluzionari e, poi, appoggiando il primigenio movimento fascista, con cui condividevano diversi punti programmatici. Per meglio comprendere tale commistione, è utile rileggere le pagine dell’allora stampa repubblicana e, quindi, ciò che i mazziniani, di dichiarata fede, pensavano del nascente Fascismo e del suo capo. Nel ’17, sulle pagine de L’Iniziativa, l’organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo». Successivamente, soprattutto dal ’19 in poi, gli incontri fra repubblicani e fascisti si faranno più frequenti, tanto che in regioni come la Liguria (roccaforte mazziniana) e l’Emilia Romagna, si assisterà a una vera e propria emigrazione politica: un numero considerevole di federazioni repubblicane passeranno in blocco sotto le insegne fasciste. Significativo, di queste defezioni, è il caso di Pietro Nenni e dei fratelli Bergamo; esperienza brevissima, ma sintomatica di come il Fascismo, non ancora maturo, fosse riuscito a far leva sugli istinti patriottici dei repubblicani, militanti di spicco compresi.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Fra i transfughi del PRI, il più noto è stato sicuramente Italo Balbo; lo storico Claudio G. Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al Fascismo nel ’21, esitò a lasciare i repubblicani fino all’ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione (…). Nella lettera di dimissioni scritta il 12 febbraio 1921, Balbo - scrive Segrè – era perfettamente consapevole che il comitato centrale repubblicano si opponeva alla sua iscrizione a entrambe le organizzazioni. Tuttavia – insistette – il fascismo non contrastava con gli ideali mazziniani, soprattutto per quello che riguarda la Patria, il socialismo e la questione agraria». Altri celebri mazziniani transitati nel partito fascista furono: Curzio Malaparte, Ottone Rosai, Romano Bilenchi e quel Berto Ricci che, nel Fascismo, vedeva la perfetta sintesi fra “la Monarchia di Dante e il Concilio di Mazzini”. Naturalmente, la disamina letteraria operata dai suddetti, non riguardò solo il patriota genovese, anche Garibaldi e Pisacane entrarono a pieno titolo nel pantheon littorio. In più di un’occasione, fu lo stesso Mussolini a operare un parallelismo fra l’epopea garibaldina delle camicie rosse e la rivoluzione nazionale delle camicie nere, mentre per ciò che concerne Pisacane, il primo a ri-valutarne il profilo storico fu il fondatore di “Pagine Libere”, Angelo Oliviero Olivetti che scrisse: «fu un socialista nazionale, di un nazionalismo assoluto, intransigente e fremente, ripudiando tutte le dottrine e tutti i contatti con lo straniero, qualunque esso fosse». Ed è proprio da quest’ultima affermazione, che si comprende il retaggio culturale che portò alcuni mazziniani ad allontanarsi dal fascismo, allorquando l’intesa con la Germania nazional-socialista si fece più intensa.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Comunque sia, a cento anni di distanza dalla caduta della Repubblica Romana, sulle rive del lago di Garda sorse la Repubblica Sociale Italiana. Qui, se è possibile, i richiami a Mazzini si fecero anche più frequenti rispetto a prima: fenomeno, quest’ultimo, riconducibile, oltre che alla necessità di una ri-visitazione del pensiero repubblicano, anche al sentimento anti-monarchico post-25 luglio. Durante il primo congresso del Partito Fascista Repubblicano, alla presentazione di quelli che poi passeranno alla storia come i 18 punti di Verona, Alessandro Pavolini disse: «il manifesto programmatico è una sintesi dell’originario pensiero mussoliniano il quale come è stato ricordato coincide per molta parte con quello di Mazzini (…)». Nel medesimo congresso, Fulvio Balisti, il Comandante del Battaglione Giovani Fascisti a Bir el Gobi, pronunciò la seguente frase: «perché non esiste Repubblica dove non esista la libera espressione della volontà del popolo, perché le masse si educano in virtù della Repubblica e Mazzini disse che non i repubblicani facevano la repubblica, ma la repubblica con l’educazione faceva i repubblicani». Per ciò che concerne la struttura economica della Repubblica Sociale, soprattutto in merito al decreto legge 375/1944, relativo alla Socializzazione delle imprese, l’influsso di Mazzini si fece preponderante; ha ricordato in una recente intervista Miro Renzaglia:</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">«(…) Mazzini propugnava la disintegrazione del sistema salariale. (…) Le radici profonde della socializzazione risiedono nella naturale inclinazione dell’uomo a darsi un sistema di civile convivenza fondato sulla giustizia sociale… Tra la teoria mazziniana delle “associazioni dei lavoratori” e le realizzazioni di Mussolini, l’anello di congiunzione risiede nel sindacalismo rivoluzionario di Filippo Corridoni…». L’eco mazziniana ebbe notevole successo anche sulle pagine della propaganda di guerra; i manifesti, con l’effigie del patriota, campeggiarono per lungo tempo sui muri della Repubblica. Oltre a Mazzini, tra le fila della RSI, vennero arruolati altri celebri miti risorgimentali: sia Goffredo Mameli che Anita Garibaldi, dall’alto dei loro manifesti, indicarono alle giovani leve del fascismo repubblicano la via italiana alla rivoluzione volontarista di Mazzini.</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">A taluni, l’operazione di recupero dei temi risorgimentali, da parte dell’intellighenzia fascista, potrebbe sembrare un’appropriazione indebita, in ragione di ciò, è giusto ricordare che già il filosofo inglese Bertrand Russell, nella sua “Storia delle idee del Secolo XIX”, criticando Mazzini lo additava come precursore di Mussolini. – critica sottolineata, già a suo tempo, dal compianto Giano Accame.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Della stessa idea di Russell, nel 31, Togliatti scrive: «Mazzini se fosse vivo plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini sulla funzione dell’Italia nel Mondo» – anche se in seguito, il Migliore, in merito a Mazzini, cambierà idea.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Da rilevare che, al termine del secondo conflitto mondiale, la componente maggioritaria del neofascismo venne guidata dall’ala dura degli spiritualisti. Questi ultimi, una volta prese in mano le redini di ciò che era rimasto del mondo fascista, decisero di rimuovere Mazzini dai propri scaffali. Ad approfittare di questa «brillante» operazione culturale, furono proprio i quadri dirigenti del PCI. Infatti, operando gramscianamente sulla storia risorgimentale, i piccisti trasformano la resistenza nell’ultimo atto del risorgimento – anche se a tutt’oggi, i post-comunisti non hanno ancora deciso se l’epopea risorgimentale sia terminata nel ’45, o, come vorrebbero altri, nel ’68… Lo stesso Togliatti inserì frequentemente Mazzini e Garibaldi all’interno dei suoi discorsi, senza contare l’influenza iconografica di tale operazione di recupero risorgimentale: basti pensare che, nel ’48, durante la campagna elettorale, in rappresentanza del Fronte Popolare c’era proprio l’effigie di Garibaldi.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nonostante la deriva filo-monarchica degli ambienti missini e l’appropriazione, quella si, indebita, della tradizione risorgimentale da parte anti-fascista, alcuni ex-erresseisti si fecero portatori della fiaccola mazziniana d’origine fascista. Tra questi, ricordiamo: Giorgio Pini, Alberto Giovannini, Ernesto Massi, Stanis Ruinas, Concetto Pettinato e Ugo Manunta. Intellettuali e militanti politici che, pur rifacendosi all’esperienza repubblicana di Mussolini, rifiutarono sempre l’etichetta di destra, perché, come scrisse l’allora fascistissimo Curzio Malaparte, in merito alla reazione anti-risorgimentale: «Il liberalismo si vendicò della rivoluzione. La reazione fu liberale: periodo delle sagge riforme. La destra era al potere. Tristissima commedia.»</span><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Romano Guatta Caldini</span></em>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-69966959493997475492010-08-03T01:40:00.000+02:002010-08-03T01:41:31.446+02:00Uscocchi<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">[...]Dentro i covi degli Uscocchi </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">sta la bora e ci dà posa. </span><span style="font-size: x-small;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">Abbiam Cherso per mezzana, </span><span style="font-size: x-small;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">abbiam Veglia per isposa, </span><span style="font-size: x-small;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">e la parentela ossosa </span><span style="font-size: x-small;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">tutta a nozze di corsaro. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">EIA, mirto del Quarnaro! </span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"></span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">Alalà! [...]</span><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: x-small;">(Gabriele D'Annuzio - <em>La Canzone del Quarnaro</em>)</span><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Gli uscocchi (in lingua croata uskoci) erano una popolazione costituita prevalentemente da cristiani di origine bosniaca riversatisi sulle coste del Mare Adriatico per sfuggire all’avanzata dei turchi. Inizialmente famosi per le loro operazioni di feroce guerriglia contro i turchi, risolsero poi di dedicarsi alla pirateria: dal loro quartier generale a Segna, presso Quarnaro, organizzarono veloci spedizioni di saccheggio sia contro le rotte turche che contro la Repubblica di Venezia.</span></em><em><br />
</em><br />
<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Capaci di garantire una feroce fanteria di mare, gli uscocchi erano spesso assoldati come mercenari sulle navi da guerra del tardo XVI secolo: diversi uscocchi prestarono, per esempio, servizio tra le navi della Lega Santa durante la Battaglia di Lepanto (1571).</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In croato, uskok significa “colui che assalta”. Il nome testimonia quindi in modo diretto e tangibile il carattere bellicoso degli Uscocchi e la loro predilezione per la guerra di corsa e le tattiche della guerriglia.</span></em><em><br />
</em><br />
<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">I primi ranghi del popolo che sarebbe divenuto poi noto come Uscocchi vennero formati da Croati e Serbi in fuga dall’avanzata degli ottomani del sultano Bayezid II nei Balcani.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Un primo nucleo di guerrieri uscocchi, capitanati da Petar Kružić, si trincerarono nella fortezza di Clissa per sbarrare ai turchi la strada che dall’entroterra bosniaco portava alle coste croate. Bisognosi di appoggio, gli uscocchi, come il resto dei croati, accettarono il sovra-regno dell’Austria, riconoscendo Ferdinando I d’Asburgo come loro sovrano (1 gennaio 1527) in cambio di aiuti contro le forze di Istanbul.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Alla morte di Kružić, i suoi uomini risolsero di arrendersi ai turchi per avere salva la vita. Abbandonata Clissa (12 marzo 1537), gli uscocchi si spostarono a Segna, sulla costa croata, una roccaforte circondata da montagne, foreste e da cale anguste navigabili solo con piccole imbarcazioni. Mentre i turchi organizzavano un proprio corpo di guerriglieri slavi da opporre agli uscocchi (i Martelossi di origine serbo-valacca), questi ultimi risolsero di dedicarsi alla pirateria per ottenere di che sostentarsi. Fu in questo periodo che gli uscocchi si mescolarono a bande di fuorilegge croati provenienti dalle vicine località di Novi Vinodolski e Otočac completando il loro processo di formazione.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">A partire dal 1540 la questione degli uscocchi assurse all’interesse della cronaca internazionale. I saccheggi perpetrati dai pirati bosniaco-croati iniziarono infatti ad infastidire non solo i turchi, iniziali bersagli delle loro lotte, ma un po’ tutte le grandi potenze che commerciavano nel Mediterraneo: per prima Venezia ma anche il Regno di Napoli, il Regno di Spagna e lo Stato Pontificio.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nel 1540 Venezia iniziò a fornire una scorta armata ai mercantili turchi in viaggio nell’Adriatico. La risposta degli uscocchi all’intromissione veneta nel loro “terreno di caccia” fu il saccheggio delle isole croate controllate dai veneziani: Veglia, Arbe e Pago. Decisa a chiudere la questione in modo rapido, la Serenissima chiuse l’aiuto dell’Austria, nominalmente sovrana degli uscocchi, ma parve subito chiaro che gli Asburgo non erano intenzionati a rinunciare al prezioso appoggio dei pirati adriatici per la lotta contro la Sublime Porta.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nel 1577 Venezia intensificò le sue operazioni di polizia nell’Adriatico: nuove ciurme di fanteria, reclutate in Albania, sostituirono gli equipaggi originari della Dalmazia.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nel 1592 un esercito turco al comando di Telli Hasan Pasha attaccò la Croazia, saccheggiando e distruggendo diversi insediamenti uscocchi. L’esito della Battaglia di Sisak, che segnò l’inizio della Lunga Guerra voluta dall’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, allontanò però rapidamente dagli uscocchi le ire del sultano Murad II. A non dimenticarsi dei pirati adriatici fu però Venezia che sfruttò le distrazioni balcaniche dell’imperatore Rodolfo per conquistare Trieste e Fiume: gli uscocchi furono costretti a negoziare un accordo con la Serenissima mentre delle fortificazioni controllate dai veneti venivano erette per collegare Segna al mare aperto.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nel 1615 le azioni degli uscocchi furono il pretesto per lo scoppio della Guerra di Gradisca (1616-1617) tra Venezia e l’Austria , finché, con la vittoria veneziana, i pirati adriatici parvero essere stati definitivamente annientati. Per effetto della Pace di Madrid stipulata nel 1617 le famiglie superstiti degli uscocchi vennero trasferite nell’interno (vicino a Karlovac e nei cosiddetti “Monti degli Uscocchi”), vicino al confine tra la Croazia e la Carniola e le loro navi bruciate.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In realtà, gli uscocchi sopravvissero e ripresero le loro attività piratesche, finendo con il causare un nuovo conflitto tra l’Austria e Venezia nel 1707.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il ricordo degli Uscocchi sopravvive in molte manifestazioni di cultura popolare dell’Adriatico orientale. Un tipico esempio lo si poteva osservare di frequente fino a non molti anni fa al Villaggio del Pescatore, nel comune di Duino Aurisina (TS), area sensibile alle invasioni dei corsari durante tutto il XVI secolo: nelle notti più serene, al sorgere di Betelgeuse, si esorcizzava l’arrivo dei pirati (evidentemente artefici di una notevole razzia proprio in concomitanza col sorgere dell’astro di Orione) accendendo quattro grandi torce, che venivano portate per le strade del paese urlando proprio il nome dei corsari di Segna. Come molte tradizioni popolari anche questa è andata in disuso; tuttavia ancora oggi è possibile sentire urlare il nome degli Uscocchi in sporadiche occasioni, anche se le luci delle torce sono state sostituite da quelle dei fari delle automobili o delle pile elettriche.</span></em><em><br />
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<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Durante l’impresa di Fiume, Gabriele D’Annunzio inquadrò alcuni dei suoi uomini in veloci unità navali. Esse garantivano rifornimenti ai legionari di Ronchi (poi Ronchi dei Legionari) con azioni di razzia verso il naviglio straniero che incappava nelle loro incursioni. La fine cultura adriatica, vanto di D’Annunzio, battezzò anche questi uomini uscocchi, in ossequio ad una continuità ideale con i romantici corsari d’altri tempi.</span></em><br />
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<em>Fonte: NADIR TERNI</em><br />
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"></span>SFIDAhttp://www.blogger.com/profile/09555202392057848177noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6077888102717575844.post-53707793187978300492010-08-03T01:33:00.001+02:002010-08-03T01:33:24.407+02:00Terroni. Tutto quello che è stato fatto perchè gli italiani del Sud diventassero meridionali<em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Fratelli d’Italia… ma sarà poi vero? Perché, nel momento in cui ci si prepara a festeggiare i centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, il conflitto tra Nord e Sud, fomentato da forze politiche che lo utilizzano spesso come una leva per catturare voti, pare aver superato il livello di guardia. Pino Aprile, pugliese doc, interviene con grande verve polemica in un dibattito dai toni sempre più accesi, per fare il punto su una situazione che si trascina da anni, ma che di recente sembra essersi radicata in uno scontro di difficile composizione. Percorrendo la storia di quella che per alcuni è conquista, per altri liberazione, l’autore porta alla luce una serie di fatti che, nella retorica dell’unificazione, sono stati volutamente rimossi e che aprono una nuova, interessante, a volte sconvolgente finestra nella facciata del trionfalismo nazionalistico. Terroni è un libro sul Sud e per il Sud, la cui conclusione è che, se centocinquant’anni non sono stati sufficienti a risolvere il problema, vuol dire che non si è voluto risolverlo. Come dice l’autore, le due Germanie, pur divise da una diversa visione del futuro, dalla Guerra Fredda e da un muro, in vent’anni sono tornate una. Perché da noi non è successo?</span></em><br />
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